Manoteca è un laboratorio di Bologna curato da Elisa Cavani dove gli oggetti (ri)prendono vita, dove si respira polvere e resina, storia e design e dove l’immaginazione incontra la funzionalità. Elisa bazzica mercatini, soffitte abbandonate, cantieri edili e vecchi garage, uscendone fuori con materiali improbabili a cui dare una seconda chance: il risultato è un mix di ispirazione e rivisitazione arricchito dal fascino dei materiali di recupero utilizzati. Per la nostra collaborazione con Mumm Code le abbiamo fatto qualche domanda per conoscere lei e il processo creativo che smuove i suoi artistici assemblaggi.
Le tue creazioni, espressive ed uniche, sembrano provenire da uno stile ben preciso e da idee salde. Come e quando nasce il tuo laboratorio? Come si inserisce “Manoteca” nel mondo del design contemporaneo?
Il progetto nasce durante gli studi, avevo vent’anni e nessuna competenza, così è rimasto in incubatrice per i dieci anni successivi, periodo in cui ha cambiato forma più volte e ha preso struttura. L’esperienza nella moda mi ha dato la possibilità di sviluppare un personale senso estetico e allargare le mie conoscenze. Ad un certo punto mi sono sentita pronta.
Manoteca nasce il 1 gennaio del 2011 e va on-line a ottobre. Ai tempi non esisteva un laboratorio, lavoravo nel mio appartamento, trasformato in falegnameria per l’occasione. E’ stato un periodo splendido, vivevo tra segatura e attrezzi, dormivo circondata da oggetti in costruzione, le stanze erano diventate laboratori specifici e uscivo soltanto per cercare materiali e reperire ferraglia di ogni genere.
Il 10 ottobre 2011 il sito viene pubblicato in rete, dopo due settimane esce il primo articolo su un blog. Dopo due mesi il sito contava 20.000 visite, dopo 3 mesi ne contava 40.000 e la mia casella di posta stava per esplodere.
Il tuo obiettivo è quello di “regalare ad un oggetto una seconda opportunità”. Quindi credi ancora nel valore simbolico ed educativo dell’arte?
Credo nel fatto che ognuno sviluppi un personale codice di linguaggio attraverso il quale comunica qualcosa di sé. Quindi sì, credo nel valore simbolico. Per il valore educativo non saprei, credo nell’interesse per il punto di vista di un altro essere umano come forma di confronto e stimolo creativo.
È possibile coniugare insieme ecologia (nel senso di riciclo) e design?
Design significa letteralmente “progettazione”, la progettazione prevede l’assemblaggio di forme e materiali, quindi qualsiasi oggetto si utilizzi per crearne un altro per me è degno di considerazione. Ho scelto di utilizzare materiali di recupero e oggetti vecchi perchè sono impregnati di calore umano e mi piace l’idea di vivere in armonia con l’ambiente che mi circonda.
Ogni materiale, che finemente riutilizzate, ha un proprio passato. Come riesci a preservarne la memoria/storia nella fase creativa o di realizzazione?
Cerco di modificare il meno possibile, rispettando l’oggetto e preservando la sua condizione, risultato del tempo e del suo precedente utilizzo. Più che altro lo curo, con delicatezza.
Nel processo creativo quali sono i metodi d’ispirazione? Nella fase progettuale prevale l’istinto e la percezione sensoriale, offerta dal materiale recuperato?
Vengo attratta da qualcosa e me la porto a casa. Cerco di capire cosa mi ha affascinato, e mi obbligo a NON modificarla. Mi diverte assegnare nuove funzioni, rimescolando le carte, gli oggetti diventano quasi umani, fanno cose e si caricano di personalità proprie, almeno nella mia immaginazione.
Raccontaci di “Happy Ending” presso la Galleria42 Contemporaneo. Altre collaborazioni in vista?
Happy Ending è stata la prima mostra personale e ne sono molto soddisfatta. Per l’inaugurazione l’attrice Nicoletta Giberti ha preparato una performance meravigliosa. In uno stanzino buio faceva visitare un’opera accompagnando lo spettatore in un mondo surreale. E’ stato commovente.
Ci sono parecchie collaborazioni in vista, un’esposizione al salone del mobile di aprile e alcune mostre all’estero. Vi terrò aggiornati.