Per chi ancora non lo conoscesse, Leftloft è uno studio di progettazione grafica fondato nel 1997 a Milano da Andrea Braccaloni, Francesco Cavalli, Bruno Genovese e David Pasquali. Nel 2009 hanno aperto una sede parallela a New York.
1. Leftloft, perché questo nome?
Non sappiamo ancora dire se c’è stato un motivo vero e proprio, ma in effetti la prima sede dello studio (in via Pisacane, 57 a Milano) era proprio un magazzino di polveri per i colori e si trovava nel secondo cortile a sinistra di un tipico stabile milanese (oggi siamo in fondo a destra invece..). In realtà resta un nome che a volte suona bene e a volte viene frainteso, (soprattutto al telefono). Tuttora riceviamo pacchi e lettere destinate a Leftlost, Listlost,Left-Loft, Lelos e via dicendo.
2. Com’è nato lo studio?
Lo studio è nato dall’incontro dei futuri soci in università (architettura/urbanistica al Politecnico a Milano) e dall’amicizia che ci lega negli anni. Abbiamo iniziato informalmente nel ’95, il magazzino di via Pisacane era il nostro posto di gioco/studio e progetto e i lavori venivano ideati insieme e realizzati con un solo pc. Nel ’97 abbiamo fondato la società, siamo aumentati noi, i computer e i progetti. Quest’anno compiamo 15 anni e abbiamo la fortuna di poter collaborare con tanti giovani talenti che ispirano ancora il progetto Leftloft.
3. Cosa vi ha spinti ad aprire una sede a New York? Qual è il suo valore?
La voglia di guardare oltre, di scoprire come funzionano gli stessi meccanismi altrove e il desiderio di mettersi alla prova. New York ci ha dato l’opportunità di ricominciare, di imparare e di acquisire uno sguardo globale aperto alla miriade di culture di cui è composta. Poi ci ha fatto scoprire il valore nel mondo dell’essere designer italiani e ci ha insegnato un bel pò in termini di chiarezza nel rapporto committente/progettista.
4. Quali sono i campi di interesse principale di ogni socio? Come organizzate il lavoro?
A tutti interessa il progetto nel suo insieme, ma c’è chi ha un occhio in più sulla tipografia, chi sulla fotografia, chi sull’organizzazione. Negli anni abbiamo imparato a riconoscerci dei ruoli e a suddividere i compiti, ma la vita dello studio è fatta di un continuo confronto, di parole dietro agli schermi o davanti alle stampate.
I progetti sono seguiti direttamente dai soci con squadre costruite appositamente sulla base di competenze e disponibilità, con un mutuo soccorso quando serve. Il progetto è sempre fatto da persone e noi siamo vecchio stile, ci piacciono rapporti di lunga durata e ci piace il nostro lavoro. Il lavoro ruota intorno ai soci che si assumono la responsabilità del progetto con i clienti, ma poi la firma è sempre e solo Leftloft. Non sappiamo dire se questo sia un metodo, di sicuro nel nostro percorso c’è continuità: abbiamo delle idee, una cultura ed un un approccio moderno che danno identità al nostro lavoro e sulla base del quale selezioniamo anche i nostri collaboratori, specie quelli che nel tempo continuano a lavorare con noi, sia dentro che fuori dallo studio.
5. È stato difficile burocraticamente aprire lo studio nel ’97? Cos’è cambiato oggi?
Più che la difficoltà ad aprire (scelta del tipo di società, notaio etc) c’è il fatto che eravamo digiuni di ogni esperienza lavorativa e imprenditoriale e abbiamo dovuto imparare – sbagliando – tutto sul campo. Da questo punto di vista penso non sia cambiato molto oggi e che le istituzioni facciano ancora fatica a comprendere ed aiutare il mondo degli studi etc…
6. “New logo is no logo” — v. anche l’identità che avete progettato per dOCUMENTA (13) — cosa ne pensate di questo modo di fare (immagine coordinata ma non solo)?
Sarebbe assurdo dire che creare un’identità visiva per un prodotto, una società, o un evento non sia arricchirla di possibilità, di sicuro oggi vengono richiesti loghi un po’ per tutto, anche per situazioni per le quali non sussiste un reale vantaggio. L’immagine è vissuta come una cosa che deve esserci e spesso è difficile confrontarsi con il cliente su questo tema.
Per quanto riguarda il no logo di dOCUMENTA (13) in realtà è comunque un logo, ma anziché essere rappresentato da un segno specifico o da dei colori, viene reso riconoscibile da un sistema di regole che ne fanno a tutti gli effetti un logo. Il bello in questo caso, almeno per noi, è che la sua riproduzione è accessibile a tutti.
7. Cosa ne pensate della didattica del design della comunicazione in Italia?
Insegnare è una grande occasione di incontro e scontro. Oggi ci sono molte scuole in cui imparare questo mestiere, abbiamo iniziato a insegnare al Politecnico di Milano quando è stata aperto il primo corso di Design della comunicazione e ancora oggi uno dei soci è impegnato in questo senso.
La didattica poi non si svolge solo in ambito accademico e a volte ci chiamano a parlare della nostra esperienza o di vari aspetti del design in altre scuole o ambienti affini e ci piace sempre molto avere a che fare con le persone, con gli studenti e in un certo senso vedere come eravamo e cosa siamo diventati.
La didattica in Italia, ma forse anche altrove, si scontra spesso con la pratica; da quest’anno abbiamo attivato gli stage curriculari con frequenza trimestrare proprio per dare la possibilità agli studenti di mettere in pratica quello che hanno imparato e per noi di imparare a nostra volta cosa manca e cosa potrebbe essere migliorato.
8. Tre caratteristiche del vostro candidato ideale
Giovane, curioso e tecnico.