Con una lettera al New York Times ha ottenuto la sua prima commissione internazionale. Dopo, una strada tutta in salita per il giovane illustratore Francesco Bongiorni. A soli 27 anni ha un curriculm vitae da fare invidia non solo ai suoi coetanei, mentre la sua esperienza oltre oceano ha attirato l’attenzione della stampa italiana. Francesco, però, con il suo sorriso gentile ha volto parlarci del suo background e dei suoi progetti. Per noi ha realizzato la copertina di Polkadot Mag #2. Oggi in mostra all’Elita Festival 2012 di Milano con una sua personale intitolata “Welcome Back to the-sign“. Dalla sua fantasia, il surrealismo delle scene illustrate è trasferito su carta; gli abbiamo chiesto come.
Provieni da una famiglia “creativa”. Cosa ti ha spinto a scegliere la strada dell’illustrazione?
La scelta di seguire il mondo dell’illustrazione é arrivata relativamente tardi. Dopo l’accademia di Belle Arti cercavo un modo per esprimere al meglio le mie potenzialità e le peculiarità del mio processo creativo. Paradossalmente trovavo l’eccessiva libertà limitante. Il più tradizionale ambiente dell’arte era dispersivo e disarticolato per me e desideravo individuare un modo per catalizzare le mie energie in un unica direzione. Ho liberato il mio linguaggio imbrigliandolo e mettendogli dei paletti. Nell’ambito dell’illustrazione si ha a che fare con innumerevoli vincoli: di contenuto, formato, paletta cromatica, stile ed imprinting. Dovendo limitare le mie scelte ho focalizzato i miei sforzi in maniera mirata riuscendo così ad evitare di disperdermi. Il foglio bianco mette paura, io preferisco dovermi confrontare con qualche restrizione in più piuttosto che trovarmi di fronte a una smisurata gamma di opzioni.
Nelle tue immagini regna un’atmosfera onirica e surreale popolata da omini in movimento. Come avviene il tuo processo creativo e da quali fonti trai ispirazioni per i tuoi lavori?
Forse l’atmosfera onirica deriva anche dal fatto che i miei lavori nascono spesso e volentieri la mattina appena sveglio. Ho scoperto che quel lasso di tempo che va tra il sonno e l’essere svegli è il migliore per trovare le idee. Chissà, forse perché la mente in quel momento è completamente rilassata ed ancora influenzata dalla realtà del sogno. Fatto sta che non appena mi sveglio rimango a letto ancora qualche minuto e cerco di “visualizzare” delle immagini che più tardi imprigionerò sul foglio. La parte dell’idea è essenziale perché si stanno costruendo le fondamenta dell’immagine. La fase schizzi è altrettanto importante e cerco di togliermi tutti i dubbi sul foglio. Più si disegna e meno si corrono rischi. Infine si passa alla mera realizzazione. E’ la parte più serena perché solamente devo rendere “definitiva” quell’immagine che ho ideato e abbozzato ma che è già “chiara” nella mia testa.
Mi ispiro a numerosi autori di fumetti nazionali e non, come Andrea Pazienza, Magnus, Hirohiko Araki, e lo spagnolo MAX e molti altri. Inoltre, amo moltissimo i grandi maestri fiamminghi come Bruegel, Durer e Van Eyck. Ma fondamentalmente l’ispirazione è uno di quei fattori non prevedibili e quindi difficilmente controllabili. Si puo’ avere l’ispirazione per l’idea giusta in qualsiasi momento, anche pensando ad altro. Bisogna essere rapidi ad imprigionare il concetto sulla carta prima che scappi.
Arte e illustrazione. Due mondi così simili eppure così lontani in termini non solo di visibilità, ma anche di compensi. Come illustratore senti di poterti definire anche un artista?
Diceva Bruno Munari: “quando tutto è arte, niente è arte” Negli ultimi anni tutti i professionisti che hanno a che fare con scelte più o meno creative vengono chiamati artisti, e oramai, entrando in una galleria ci aspettiamo di trovare di tutto: tutto può essere arte al giorno d’oggi. Io mi sento artista in un modo più “rinascimentale” del termine. I grandi del rinascimento avevano tutti a che fare con delle committenze e delle imposizioni. Degli spazi, delle tematiche… Mi piace dovermi sottoporre a delle “limitazioni” a livello di spazio, argomento da rappresentare, stile. Questo delinea per me una sfida stimolante perché non è altro che mettere a disposizione un linguaggio per interpretare un’idea come metafora.
Tra le tue collaborazioni spiccano numerose testate italiane e internazionali come il Washington Post, il Wall Street Journal, El Mundo e il Sole24Ore. Quale tra tutte queste hai trovato la più singolare?
Ho trovato singolari ed in alcuni casi divertenti i lavori realizzati per il New York Times. In primis perché spesso ti chiedono la realizzazione di un’illustrazione in tempi davvero brevissimi (si parla di poche ore) e in secondo luogo perché negli ultimi tempi credo di essere diventato il loro illustratore dell’oriente! Infatti molti degli ultimi lavori che ho fatto per loro sono stati realizzati per articoli trattanti il mondo islamico e i paesi del Medio Oriente. Credo risalga tutto ad un’illustrazione realizzata per loro alcuni anni fa. Probabilmente mi collegano a quel tipo di stile e ogniqualvolta gli capita un articolo sul mondo dell’Islam mi associano immediatamente. E’ una cosa che mi diverte molto.
Sei un giovane illustratore che, finiti gli studi in Italia, ha scelto di trasferirsi all’estero e con una lettera al New York Times ha raggiunto la fama presso gli addetti ai lavori. Quali altri sogni nel cassetto hai ancora da realizzare?
Ne ho tantissimi. Fondamentalmente mi piace l’idea di migliorarmi sempre e di trovare continuamente nuovi stimoli seguendo nuovi percorsi. In futuro mi piacerebbe provare a lavorare progettando immagini da applicare ad oggetti o strumenti. Una cosa che mi piacerebbe moltissimo sarebbe curare le immagini di una chitarra elettrica per esempio, oppure occuparmi delle illustrazioni per delle attrezzature sportive. Mi piace essere messo alla prova e trovare sempre nuove soluzioni a nuovi problemi, e in fondo il lavoro in sé non è altro che trovare la soluzione ad un problema o ad una necessità.