Alighiero e Boetti, apparentemente due identità, ma in realtà una sola e duale. “Alighiero – affermava lo stesso Boetti – è la parte più infantile, più estrema, che domina le cose familiari, Alighiero è il modo in cui mi chiamano e mi nominano le persone che conosco, Boetti è astratto, appunto, perché il cognome rientra nella categoria, mentre il nome è unico, il cognome è già una categoria, una classifica. Questa è una cosa che riguarda tutti. Il nome dà certe sensazioni di familiarità, di conoscenza, di intimità. Boetti, per il solo fatto di essere un cognome, è un’astrazione, è già un concetto”.
L’ordine, il disordine, il superamento dei confini, la multiculturalità sono solo alcuni dei temi che, negli ultimi trent’anni di carriera, Alighiero Boetti ha affrontato con la sua attività artistica. Problemi affrontati attraverso l’uso di diversi mezzi, dalla fotografia, al disegno puro e crudo, fino alla realizzazione di arazzi. Un esempio su tutti quelli fatti realizzare in Afghanistan, un universo con la quale Boetti si è confrontato in prima persona, avendone fatta sua residenza artistica negli anni ottanta. Importante anche il suo rapporto con la parola, che tentò di tradurre in immagini mediante la realizazione di fitte texture con una biro e la sua mano sinistra, quella meno “forte”, e di cui diceva: “Scrivere con la sinistra è disegnare. Le mie scritture sono tutte fatte con la sinistra, una mano che non sa scrivere, mostrano quindi anche una punta di sofferenza fisica, ma scrivere è un gran piacere. Ci sono parole che uccidono, parole che fanno un male tremendo, parole come sassi, parole leggerissime, parole reali come in numeri. Ma se vuoi veramente qualcosa mettilo per iscritto“.
Oliviero e Boetti, maestro del Novecento, scomparso nel 1994, sarà in mostra presso lo Studio Giangaleazzo Visconti, in corso Monforte a Milano, dal 28 novembre 2012 al 22 marzo 2013