Torino. Una splendida e fredda giornata di sole. In un bar, come dire, “ironico” scambiamo due chiacchere con un giovane e promettente designer con la passione per lo swing, Marco Stefanelli (The Boxer Design Studio).
Ciao Marco come stai? Come nasce la passione per il design e per i “box”?
La passione per il design arriva da lontano ormai, da un famoso libro che è ‘La caffettiera del masochista’, un’opera di Donald Norman. Questa passione all’inizio nasce come un esercizio parallelo allo studio dell’architettura, per il semplice motivo che un oggetto è molto più gestibile di un edificio e ti permette di essere studiato più facilmente in ogni sua parte. Inoltre la progettazione di un oggetto è un vero e proprio gioco in cui puoi applicare concetti e pensieri ‘seri’, ma anche molta ironia.
The Boxer Design Studio prende il nome da una vecchia canzone di Paul Simon – The Boxer, appunto – che racconta di un ragazzo che conosce e si scontra con il mondo e con la vita, trova lavoro come pugile in una New York cattivissima e nonostante tutto, resiste. E’ stata la prima canzone che ho imparato a suonare alla chitarra durante il liceo e ancora oggi mi accompagna. Ma Boxer, tradotto letteralmente, significa ‘colui che fabbrica le scatole’, cioè i contenitori. Ecco, mi piace che il mio studio sia davvero una specie di scatola magica in cui succedono tante cose.
Il fatto che io faccia pugilato è del tutto marginale…
Cosa significa essere “green” nel design? Hai una collezione che dà una seconda possibilità alla materia…
Essere ‘green’ ha tante sfumature: per me significa affrontare i progetti partendo dal fondo, cioè dagli scarti, da tutto ciò che è stato in qualche modo buttato via o rifiutato, sostituito o lasciato indietro.
In questo senso cerco di dare una seconda possibilità di vita alla materia, mescolando alte tecnologie e tecniche antiche a elementi materici che sono arrivati a fine corsa.
Sei tornato da poco da 100% design a Londra. Com’è andata?
Londra è stata una bella esperienza umana e lavorativa. Per la prima volta ero coinvolto in un progetto internazionale in una collettiva organizzata dal Centro Estero della Camera di Commercio di Torino ed è stato emozionante vedere che la gente mi riconosceva e riconosceva soprattutto il mio lavoro, per averlo visto sui blog, piuttosto che sulle riviste.
Ad aprile hai anche esposto al Fuori Salone, quali sono le differenze tra i visitatori dei due paesi?
Secondo me le due fiere non sono tanto paragonabili: durante il Fuorisalone ero alla Cascina Cuccagna in zona Porta Romana in un contesto espositivo ricavato all’interno di una struttura ex agricola (una cascina, appunto).
Tutti e 50 gli espositori avevano un denominatore comune: il design sostenibile. Per questo motivo i visitatori (operatori del settore ma anche molta gente comune) arrivavano già con un’idea ben precisa e orientata verso un discorso ‘Eco’.
Londra invece era uno spazio enorme (intendiamoci, si tratta di una fiera che è sì e no 1/10 del Salone del Mobile di Milano) in cui eravamo tutti in vetrina, ammassati e mescolati come in un bazaar (nonostante il bellissimo stand progettato da To-Design!). Il pubblico era formato quasi esclusivamente da professionisti del settore, qualche giornalista e molti stranieri. Nonostante questo, direi che l’interesse nei confronti dei miei lavori è stato pressochè identico sia a Milano che a Londra.
C’è qualche designer che ti piace seguire in maniera particolare?
Ci sono dei designer e artisti che mi hanno ispirato, e altri che ammiro per la bellezza o l’intelligenza dei loro prodotti (anche se ‘prodotto’ suona un po’ troppo industriale; diciamo ‘opera’).
Mi piace molto la filosofia di certe opere di Max Lamb, Doris Salcedo, Bruce Nauman; ma trovo meravigliosi i lavori di Gaetano Pesce, le architetture rigorose e grafiche di Mies Van der Rohe e di Tadao Ando (un maestro dei tagli di luce).
Recentemente ho anche conosciuto Hilla Shamia, una specie di mio alter ego femminile, con cui vorrei realizzare dei progetti.
Qualche desiderio nel cassetto o per meglio dire in un thinking box?
I desideri sono talmente tanti che in un solo cassetto non ci stanno! Ma in realtà ci sono progetti, a centinaia, ancora chiusi dentro 3-4 block notes, che aspettano solo di vedere la luce.