Nato da una filastrocca scritta per caso, C’est la vie è il primo cortometraggio del regista Simone Rovellini, e non è un cortometraggio normale. Se di solito il cinema vuole raccontare una storia, o portare avanti un’idea, o esprimere delle emozioni, C’est la vie vuole soltanto raccogliere una sfida: mettere in fila in una trama di senso compiuto tutte le parole francesi di uso comune nella lingua italiana. Niente di più.
E se alla fine nella trama c’è una morale, beh, sappiate che è del tutto accidentale.
Dopo due anni di produzione, portata avanti con discontinuità e mezzi di fortuna da una troupe di ragazzi giovani e sprovveduti, oggi possiamo finalmente dire che la sfida è… fallita. Eh già, perché i francesismi rimasti inutilizzati sono talmente tanti che ci si potrebbe riempire un sequel. Souvenir, per esempio. O dependance. O majorette.
E Simone Rovellini il sequel lo avrebbe anche girato, anzi, non vedeva l’ora di portare Henriette all’altare per lanciare il bouquet nel suo completo pre-maman, ma aveva finito il budget. E aveva voglia di cambiare gioco.
Anche così com’è, senza tutte quelle parole rimaste escluse, C’est la vie resta comunque un piacevole divertissement. Un meticoloso dossier sulla vita di una giovane maîtresse. Un film d’ensamble, ricco di suspense, per un pubblico d’élite.
Un raffinato lavoro d’equipe. Una boutade.