Sono sempre più frequenti in rete liste di oggetti che smetteremo di utilizzare in un futuro prossimo, dall’agendina per numeri di telefono alle lenti a contatto, dai quotidiani in versione cartacea alle banconote. L’evoluzione tecnologica con il conseguente mutamento di usi e costumi sembrerebbe infatti condannare ad una inevitabile obsolescenza tutta una serie di oggetti specifici, le cui funzioni vengono pian piano assorbite e implementate da delle specie di oggetti Frankenstein.
Nonostante l’orologio compaia in tutte queste liste e sia sempre più raro da vedere al polso di qualcuno, i designer sembrano non averci dedicato mai tante attenzioni come oggi.
Capita che accanto a storici marchi come ad esempio Alessi ed Issey Miyake, che da sempre affidano il disegno dei propri orologi da polso ad importanti designer per il quale l’incarico arriva come una sorta di coronamento della carriera o riconoscimento di fiducia e stima da parte dell’azienda, nascano nuove realtà che si servono di giovani Studi, più o meno sulla cresta dell’onda, per lanciarsi sul mercato. Non è raro inoltre che queste nuove realtà vedano tra i soci fondatori persino gli stessi designer, ne sono un esempio TID coi Form Us with Love, Orolog con Jaime Hayon o ancora Ikepod (salendo decisamente di target) con Marc Newson.
Viene da chiedersi nell’osservare questo fenomeno quale sia il vero ruolo dei designer, se sia quello di provare a ridare lustro e popolarità ad un oggetto in via di estinzione, come una riserva di ossigeno che prolunghi l’agonia senza risolvere il problema, oppure se ci sia qualcosa di più complesso dietro l’evoluzione degli oggetti, dietro la loro comparsa e scomparsa.
Probabilmente il fatto che l’orologio sia meno indispensabile di un tempo ne aumenta la qualità necessaria a giustificarne l’esistenza, in questo caso allora i designer starebbero limando le imperfezioni e gli spigoli di un oggetto sì imperfetto, ma non tanto da scomparire.