Tra i mille volti del MoMA su Tumblr, quello “Talks”, che altro non è che un hub di conversazioni, letture, laboratori, ispirazioni e spunti per esplorare il sempre più labirintico panorama dell’arte contemporanea, è forse il più interessante e sperimentale.
Tra gli artisti più riproposti e quindi più curiosi, c’è un certo Aiden Morse.
Ha diciannove anni, viene dalla Tasmania e tutti i suoi progetti più riusciti risalgono a quando, di anni, ne aveva diciassette e doveva preparare quello che per noi è l’esame di maturità.
Morse utilizza tutti i mezzi di cui dispone o che contestualmente trova più funzionali, per realizzare opere che spaziano da video a still life a ritratti a installazioni luminose e performance, riuscendo sempre a configurarsi come un artista molto consapevole seppur ancora in fase di affermazione. Del 2011 è la serie “Dislocation”, fotografie statiche a luoghi periferici che giocano su particolari aggiunti dall’artista per invitare gli abitanti a riconsiderare l’ambiente in cui vivono; dell’anno successivo è invece “Stills”, il suo progetto più famoso, che riprende corpi e oggetti essenziali modulati da luci e ombre, a volte “sporche” e naturali, a volte ricreate artificialmente sul set da proiettori; ne esce un mondo oscuro ma fantasioso e postmoderno i cui riferimenti sono tutti cinematografici (le simbologie di Kubrick e lo Spielberg anni Ottanta).
Dell’ultimo periodo sono sperimentazioni più pop: la serie “Pinks/Blues” che ritrae oggetti‐ simbolo della pubertà (rasoi, condom, assorbenti e schiuma da barba), “Mirrors”, installazione di specchi nella foresta e “Signal work”, video a colorati still life in movimento.
I suoi modelli dichiarati? Gli artisti/fotografi americani Todd Hido e Jeff Wall. Ed, in effetti, si vede.