“Can you make it?” non è una semplice domanda, ma lo slogan sul quale Red Bull ha basato uno degli eventi più pazzi del 2014: raggiungere Berlino entro l’11 aprile in soli sette giorni, avendo con sé solamente un telefonino Motorola Moto G e 25 lattine di Red Bull.
La risposta a questa domanda ci è stata data a Venezia, uno dei sei checkpoint europei che più di 100 gruppi di ragazzi provenienti da tutto il mondo dovranno raggiungere prima di poter approdare trionfanti a Berlino. In un assolato pomeriggio domenicale abbiamo parlato con 6 gruppi rappresentanti tutto il pianeta: dal Giappone alla California, passando da Francia e Germania, attorniati da gabbiani, gondole e una scorta illimitata di Red Bull.
Ogni gruppo, formato da tre concorrenti, ha dovuto affrontare ogni tipo di avversità, fisica e “logistica”, per poter arrivare da Vienna (uno dei tanti starting point della competizione) a Venezia: i Californiani “All Bay to Europe”, per esempio, dopo essere saliti sull’ultimo treno da Innsbruck a Verona, sono riusciti a convincere il controllore non solo a rimanere nel treno, ma addirittura a viaggiare in prima classe con tre ore di viaggio bonus: come ci siano riusciti rimane un mistero. Per non parlare dei tedeschi “The Stinson” che, dopo una partenza burrascosa (il loro volo da Hamburgo a Vienna è stato cancellato e hanno dovuto aspettare 8 ore in aeroporto), essere stati trasportati con “mezzi di lusso” (un van semi-scassato di rumeni) dalla Romania alla Slovenia e aver provato “i migliori hotel sloveni” (un ostello di nome “Four Room” che aveva esattamente 4 camere), finalmente arrivano al checkpoint veneziano affamati e distrutti. Stoici.
Tutto ciò però appare nulla in confronto al racconto riportatoci dai francesi “The French Flair” che, dopo una prima botta di fortuna con la quale i tre riescono ad arrivare dalla Slovenia al confine con l’Italia, si ritrovano in mezzo al nulla, scaricati da un auto di passaggio. Sei ore di cammino in un campo sperduto chissà dove, alle due di notte, che li porterà finalmente in un villaggio vicino ad un Agip, cimitero annesso. Purtroppo per loro l’unico posto per poter dormire si rivela un night club che però non può ospitarli al suo interno per via della “brutta” clientela, per usare un eufemismo. Così si ritrovano a dover dormire in un prato situato tra il club e un laghetto. Ci raccontano che attendere l’alba al freddo, su un prato dall’ignota carica tossica e come sottofondo la minimal house del night club, è stato mistico.
E chissà quante altre stravaganti avventure staranno vivendo i restanti 96 gruppi che non siamo riusciti ad incontrare.
Da queste belle interviste, però, è apparso un filo comune inaspettato, fulcro, dai racconti che abbiamo sentito, di ogni singolo spostamento effettuato dai concorrenti: la bontà e la partecipazione delle persone alle quali è stato chiesto aiuto. Alcuni gruppi, come i giapponesi “Midnight Sushi”, i tedeschi “Team Rocket” e i francesi “Invictus”, sono riusciti ad ottenere cibo, bevande, passaggi in macchina e posti letto gratis solo chiedendo un aiuto alle persone che incontravano sulla loro strada.
A quanto pare la semplice domanda posta da Red Bull ai suoi folli concorrenti è stata inconsapevolmente trasferita anche alle persone esterne all’evento che, casualmente, sono diventate fondamentali per il raggiungimento di importanti obiettivi, raggiunti in grazie all’ingegno dei partecipanti e ,incredibilmente, alle lattine di Red Bull scambiate e barattate per ottenere qualsiasi cosa: viaggi in treno, soldi, passaggi in pick-up e strumenti musicali.
A conclusione della giornata veneziana i vari gruppi sono ripartiti pieni di speranze, nuove idee, una bella scorta di Red Bull e un po’ di conseguente adrenalina. Domani arriveranno a Berlino, e chissà chi saranno i tre che ce l’avranno fatta “più degli altri”.