Ci piacciono così tanto le invasioni di campo tra musica colta e sperimentale, che non ci è passato inosservato questo disco dal titolo Le trame del legno. Prodotto da Federico Bagnasco ed Alessandro Paolini per la Old Mill Records, vede il primo alle prese con archetto e corde del suo inseparabile contrabbasso e il secondo nella selva di manopole e fader che costituiscono la componente elettronica.
Il suono profondo del contrabbasso viene campionato, manipolato, frazionato, alterato, deformato, filtrato (potrei proseguire) in un inseguimento continuo tra due espressioni musicali che stanno agli antipodi: da una parte la materialità e la pasta dello strumento e dall’altra la freddezza suggestiva dell’elettronica.
È un lavoro molto interessante, anche perché considerate che il contrabbassista in questione macina qualsiasi repertorio dalla musica antica (niente paura, per intenderci, tutto quello che arriva prima di Mozart), classica, contemporanea ed è un frequentatore assiduo di generi come jazz e folk. Questo groviglio di esperienze musicali, unite alla creatività frenetica di Federico – uno che, anche quando sta fermo, in realtà sta costruendo un suo mondo – ha portato ad un splendido risultato, un viaggio vero e proprio, molto intimo, ma con i suoi momenti di distensione e, perché no, vagamente autoironici (vedi Sbracato Snob). Se volete fare lo sforzo di entrare nel folle mondo del nostro contrabbassista, prima magari aiuterà farsi un po’ le orecchie con la musica di signori come Stockhausen, La Monte Young, Schaeffer e Lucier (citato espressamente in I Am Sitting in a Bass). Fatto ciò mettetevi le cuffie o davanti al vostro bel Bose e – la sera possibilmente – fatevi trasportare in un percorso che definire astratto è dire poco.
Inizierete quindi il vostro viaggio con Spire, dove l’elettronica entra ad eco nel suono del contrabbasso, mascherata dalla risonanza delle corde, fino a fonderlo in un agglomerato informe. La concezione del suono spaziale crea suggestioni, quindi costruitevi delle immagini. Sentirete un richiamo vivaldiano negli arpeggi impazziti di Apnea, metre giocherete con il ping pong stereo di Tempo al Tempo, col tapping sulla cassa strumento che diventa un pattern ritmico. E qui non ci sono drum machine, ma tanta improvvisazione. Eccolo il jazzista! Coincidenze Combinate potrebbe essere una composizione minimalista, con i suoni tirati, che sembrano quelli di un synth. Dicevamo di I Am Sitting in a Bass, un omaggio alla composizione di Alvin Lucier I Am Sitting in a Room per voce e registrazione in play back (era il 1969, mica scherzi): il suono del contrabbasso viene registrato e messo in loop, quindi riprodotto da uno speaker vicino allo strumento che ne registra la risonanza. Un dialogo tra sé e sé, lo ha definito l’autore. AbIpso è tra tutti i brani quello più sinistro, costruito su un tappeto di armonici di una nota fondamentale, dimensione onirica (e qui ritorna Stockhausen). In Vano, in sostanza un brano drone, è uno di quelli che potrebbe durare un eterno. Arriviamo in fondo con Residui, una valanga di citazioni (c’è anche spazio per l’elefante de Le Carnaval des Animaux di Saint Saëns), un bignami di passi che costituiscono il pane quotidiano dei contrabbassisti, che hanno in testa e sotto le dita per concerti e audizioni.
Alla fine, per quanto il suono del contrabbasso venga sciolto nell’elettronica e portato ai limiti della ricerca del rumore, rimane quella profondità e fisicità propria dello strumento in legno. Per quanto immateriale sia il risultato finale. D’altronde la fisica non è la scienza delle soluzioni impossibili? O quella era la patafisica. Non ricordo..