Pietro Coletta e Giuseppe Gurrado sono due ragazzi semplici. Appassionati. Competenti. A Milano vivono da un po’, da quando hanno lasciato la Puglia per fare i designer. Li incontriamo nello studio dove Pietro lavora da qualche anno e con il quale ha ottenuto qualche soddisfazione. Ma quello che lui e Giuseppe cercavano più di un anno fa era qualcosa di molto più forte e profondo: personale, intimo, passionale. Scatto Italiano.
Oggi vi raccontiamo la storia di una nuova, ambiziosa piccola impresa italiana che si è messa in rete con tante altre realtà storiche dei ciclismo per costruire una bicicletta rispettosa della storia, ma realizzata su misura dell’uomo contemporaneo. Nella nostra intervista ai due fondatori dell’azienda conoscerete meglio il prodotto, ma anche la storia e la fatica dietro ad un progetto come questo.
Siete due ragazzi giovani che lavorano in uno studio di design. Come e perché avete deciso di lanciarvi in una sfida per niente semplice?
Beh, la risposta è che siamo designer. Siamo costantemente in cerca di nuove avventure e, comunque, la crisi economica ha ridotto, purtroppo o per fortuna, le nostre ore di lavoro nello studio di design del quale facciamo parte. Arrivati a 28 anni, quasi un anno fa, ci siamo trovati di fronte alla possibilità di creare qualcosa di nostro, partendo anche dalla nostra passione per le fixed.
Passione, che bella parola. Che consigli dareste subito a chi vuole lanciarsi in un’impresa tale?
C’è stato un momento in cui questa passione si è tramutata in qualcosa di più. Quando siamo partiti dall’idea di farlo e poi abbiamo cominciato a farlo veramente, e la cosa diventava un momento sempre più piacevole, considerando che continuiamo a farlo dopo che stacchiamo dal lavoro. Abbiamo organizzato il lavoro per step, combattendo contro tante cose contemporaneamente. Puoi avere 300 euro sul conto, ma se hai il piacere di fare qualcosa allora vai avanti. Poi una cosa tipicamente italiana in questo caso si è rivelata assolutamente favorevole: ci sono state tante persone che ci hanno aiutato gratuitamente o investendo risorse (come, per esempio, Brainpull, l’agenzia che ci cura la comunicazione), credendo in noi. L’importante è non demoralizzarsi, anche quando hai venduto poco o niente.
Tornando alla vostra storia…
Inizialmente, quando eravamo in tre, l’idea era di produrre accessori per bici, rigorosamente in legno, e poi il discorso si è evoluto, anche perché ambiamo a farci le cose da soli, indipendentemente.
Oggi siamo tra i pochi a produrre componentistiche in legno senza anima in metallo, come il nostro manubrio in legno di noce americano. Ne produciamo attualmente due versioni: Barra, pensato per chi va al lavoro in bici ed ha bisogno di agilità; Cafe Racer, più da easy riding, comodo e con una sensazione avvolgente.
Che è molto bello e curato. E la confezione sembra quella di una cravatta.
Sì, abbiamo cercato di curarne anche il confezionamento. La cosa interessante è che siamo stati noi stessi a proporre al produttore questa soluzione, incontrando anche la sua iniziale diffidenza. Poi, insieme, abbiamo ricercato e scoperto che invece l’intuizione era stata positiva.
Il manubrio è super resistente, ma leggero e se vuoi ti ci puoi anche sedere sopra. Ed ogni pezzo è diverso dall’altro, perché il legno di noce invecchia in maniera sempre diversa, acquistando anche valore.
Abbiamo curato ogni dettaglio: il telaio, per esempio, è numerato e firmato dal telaista (Vetta) e dotiamo ogni bici di un libretto con tutte le informazioni sulla sua storia.
Tornando al discorso manubri, ora stiamo sviluppando un bullhorn, per creare sempre più un legame fra classico e sportivo, che è quello che ci rende diversi da altri tipi di bicicletta.
Da chi producete i manubri?
Ora li produciamo da Cerchi Ghisallo, un’azienda comasca con settant’anni di storia, in mano ad una persona splendida, che è diventato quasi un “padre”. In realtà, però, abbiamo perso mesi correndo dietro un produttore che spesso era irreperibile e rinviava spesso i lavori. A conti fatti è stata una benedizione. Da Ghisallo abbiamo trovato gentilezza e competenza.
E non solo da loro, ma anche da Emmeci della famiglia Mignon, che ci vernicia i telai. Sono stati fantastici con noi, specie quando abbiamo girato il video promo: hanno fermato tutte le macchine e la produzione per permetterci di avere la luce giusta. E per realizzare il piccolo tricolore sulla canna hanno rispolverato un vecchio pennello che non usavano da tempo! È unico e fatto rigorosamente a mano.
A Vetta, invece, abbiamo chiesto di saldare due pezzi con una tecnica disponibile solo a mano e lui, dopo aver titubato, ha accolto con grandissimo entusiasmo il risultato finale.
Difficoltà invece?
Le banche! E la burocrazia: un sacco di soldi per mettere due firme.
A proposito di componenti, qualcuno vi ha criticato perché il telaio ha delle “taglie”.
In realtà abbiamo otto taglie, che differiscono l’una dall’altra di 2cm massimo. Praticamente è quasi su misura. Del resto, il nostro telaista, quando inizialmente gli chiedevamo di realizzarceli su misura, ci ha risposto che ormai quasi nessuno, nemmeno nel reparto corse, arriva a questo livello di personalizzazione, perché le differenze sono minime e possono essere gestite lavorando anche su altri componenti, come il sellino.
Alla luce di questo, alcune critiche sono state decisamente eccessive e forse un po’ figlie di alcuni pregiudizi. Altre, invece, sono state costruttive e ci hanno spronato a lavorare e migliorare fin dal giorno stesso. Il sito, per esempio, oggi è più chiaro e semplice da utilizzare rispetto ai primi giorni dopo il lancio. Lì è possibile configurare la propria bicicletta, conoscendone meglio le componenti, vedere come sarà ed ordinarla.
Dalla cura che mettete nel prodotto e dalla filosofia dietro il vostro progetto, ci viene naturale un parallelo col mondo delle auto sportive. A quale brand automobilistico pensate di assomigliare?
Noi la immaginiamo come una Jaguar o una Aston Martin: sportiva, ma non troppo, con un fascino particolare. La nostra intenzione è di migliorare costantemente le componenti, investendo da subito i nostri guadagni in materiali più pregiati e tecniche produttive più avanzate.
E dato che progettare automobili richiede competenze specifiche, com’è pensare una bicicletta?
È una sfida interessante, specie quando hai un background lavorativo che riguarda illuminazione, cucine o qualsiasi altra cosa. Lì impari cose che ti possono tornare molto utili, anche se apparentemente non lo sono, in un progetto come questo. Il legno, per esempio, l’abbiamo conosciuto lavorando su progetti per cucine o aziende che ne fanno uno dei cavalli di battaglia. I trend di colore sono qualcosa che abbiamo appreso in campi diversi da quello delle biciclette.
Colori: perché una scelta limitata?
Le combinazioni possibili sono venticinque. Però ci piace come ragiona Ferrari: i designer fanno uno studio a monte ed offrono al cliente numerose possibilità, ma che non snaturino la qualità del progetto complessivo. Non vorremmo vedere per strada una Scatto Italiano fucsia!
I nostri cinque colori derivano da una ricerca incrociata nel campo della moda e nella storia del ciclismo e sono stati selezionati per essere abbinati perfettamente. Il nostro sogno è quello di avere una sorta di atelier/ufficio stile che fornisca ai clienti sempre più possibilità, ma sempre con la consulenza di un esperto. Attualmente i prezzi per noi e per i clienti non lo consentono. Chi lo fa oggi sulle biciclette chiede almeno 5000 euro, mentre noi vogliamo creare un sistema coerente e che possa avvicinarsi quanto più possibile ai gusti del cliente.
Vi chiamate Scatto Italiano, ma qualche pezzo, come cerchi di H+Son, componenti di Brick Lane Bikes e sellini Brooks, non è fatto in Italia. Perché?
Alcuni sono riedizioni di prodotti progettati in Italia, ma passati in mani straniere. Alcuni fornitori italiani, invece, non producono più linee storiche ed hanno modernizzato troppo i loro prodotti, perciò abbiamo ritenuto non facessero al caso nostro. Altri si sono specializzati sul settore corse e quindi non hanno in catalogo componentistica adatta alle nostre biciclette. I sellini, per esempio, sono sia Brooks che San Marco (Concor).
Ci piacerebbe molto poter disporre di componenti 100% Italiane e non ci penseremmo due volte ad utilizzarli, ma purtroppo a volte ci è capitato di trovarle solo nei mercatini. Ovviamente non possiamo affidarci al mercato dell’usato con l’onere di dover anche restaurare i pezzi. Di sicuro, però, le componenti che abbiamo scelto sono fra le migliori sul mercato. Dove non potevamo essere italiani, abbiamo scelto prodotti giapponesi, fra i top al mondo. Tutti i pezzi Scatto Italiano sono italiani ed assemblati in Italia.
Il design del telaio è quello classico maschile. Avete pensato a qualcosa per le donne?
Sì, ma ci siamo accorti che alle donne piace il telaio sportivo in questo settore e comunque pensiamo che la canna in stile Graziella sia quasi classista. Troviamo anche più sexy per una ragazza montare una bici “maschile”. Vogliamo che le nostre bici aggrediscano la strada, lottino fra le macchine, infatti il manubrio è molto stretto anche per facilitare gli sprint nel traffico.
Altri componenti in cantiere?
Stiamo pensando di creare una selezione di prodotti di terze parti, mentre al Fuorisalone abbiamo presentato una esclusiva linea di pochette e borse create dalla nostra Lucrezia Pascale e dallo studio Monomio, che s’integrano perfettamente col design delle nostre biciclette. Dobbiamo ringraziarla tantissimo perché è stata capace di raggiungere un ottimo risultato nel pochissimo tempo a disposizione.
Le borse sono realizzate in pelle di bufalo conciata al vegetale, un procedimento che permette di mantenere invariata la texture, con tutte le sue imperfezioni e particolarità. Col passare del tempo ed in relazione all’utilizzo, il pellame cambierà colore, creando un legame emotivo sempre più forte col proprietario della borsa. Abbiamo studiato dei pattern che si legano molto bene a questo materiale ed una serie di tasche interne che possono ospitare tablet, smartphone, documenti ed attrezzi per la manutenzione della bici.
In questo momento siamo al lavoro con Alessio Zulli, un artigiano esperto di pellame, per migliorare sempre più il prodotto.
Questo ci fa pensare ad un target elevato.
Sì, in generale l’uomo che ha cura per se stesso e che va dai 25 ai 40 anni. La bici è sempre stato un oggetto simbolico e noi abbiamo tenuto conto di questo: mentre l’automobile si è evoluta tantissimo, la bicicletta ha quasi la stessa forma di quando è stata creata.
Che previsioni di vendita avete?
Con questo sistema di vendite, attualmente solo online, partiremo con cifre non elevatissime, ma il nostro obiettivo, mantenendo una forte artigianalità del prodotto, è di farla salire presto. A breve speriamo di poter offrire un percorso che darà al cliente la possibilità di testare il prodotto, scegliere le caratteristiche che preferisce ed ordinare il suo modello da ritirare direttamente nei punti vendita coi quali stiamo intraprendendo delle collaborazioni.
Abbiamo, fra l’altro, ricevuto contatti da Chicago, Amsterdam e Londra da realtà interessate a diventare nostri ambasciatori all’estero.
Ok, dobbiamo per forza parlare di Puglia, visto che siamo tutti pugliesi qui. Che c’avete messo della Puglia nelle vostre bici?
Volevamo fare il manubrio col legno d’ulivo! Un legno particolare, profumato (odora di frantoio). L’azienda ha sede a Conversano, la città d’origine di Pietro, una scelta precisa e fortemente voluta. L’obiettivo è quello di portare la nostra idea di ciclismo giù al Sud, dove la bici è considerata un mezzo di trasporto sul quale spendere il meno possibile.
Bene, a questo punto è arrivato il tempo di fare lo scatto decisivo, italiano. Buona fortuna.