La classe non è acqua. In tutti i sensi. Il clima milanese, insolitamente piovoso ed umido, ha graziato Bonobo ed il pubblico milanese giunto al Magnolia di Milano per una performance che definire attesissima è dir poco. L’hype, almeno in questo caso, era del tutto giustificato: come lo stesso Simon Green ha ricordato sul palco, le due date italiane (Roma il giorno prima) sono state le sue prime in assoluto in Italia. Dopo la pubblicazione di North Borders, ultima perla del musicista inglese, la sua assenza dai palchi italiani cominciava ad essere insopportabile ed a far venire qualche mal di pancia ai fan italiani, pronti a seguirlo in ogni dove pur di godersi lo spettacolo.
E che spettacolo! Un’ora e trenta di pura magia sonora, grazie ad uno show minimale negli allestimenti, ma corposissimo dal punto di vista musicale. I membri della band, cinque (tastierista, flautista/sassofonista, chitarrista, batterista e la magnifica Szjerdene alla voce), sono fondamentali per la resa finale, più vicina ad un concerto jazz contemporaneo che ad un live di musica elettronica. Così si alternano momenti più dance (senza mai esagerare) a situazioni più rilassate, calde, intime, come la bellissima First Fires, ridotta all’osso nella struttura, ma densa di emozione. Pensiamo che Bonobo abbia trovato la chiave di volta per innalzare un live di musica elettronica in qualcosa di più avvolgente, caldo, simile all’esperienza che si può provare, come dicevamo, in un concerto di generi alti e nobili come il jazz. Del resto c’era da aspettarselo, le premesse ed i racconti erano tutti concordi su questo, ma sentirlo con le proprie orecchie fa tutt’altro effetto.
E quindi il live seguente, quello di Omar Souleyman. Senza lanciarci in paragoni troppo arditi, e con tutto il rispetto dovuto ad un’istituzione della musica araba, sembrava di essere ad un matrimonio, col tastierista provvisto di basi midi. Il fatto più bello però è che c’è piaciuto moltissimo. La cosa ancora più bella è che, bazzicando in rete, si scopre che Souleyman ai matrimoni ci suonava davvero, miscelando elettronica e dabke (danza tipica del mediterraneo), e poi registrava i nastri regalandoli agli sposi. Finché non è giunto ad orecchi occidentali e poi il resto è storia contemporanea.
Sicuramente buona parte del merito va all’immaginario costruito attorno a questo attempato cantante che fa delle movenze e della sua esoticità frecce fondamentali per il proprio arco, ma in questi casi conta il divertimento e le melodie tipicamente associate ad altri contesti “meno nobili” (ma a leggere i testi i messaggi sono di grande spessore) sono decisamente riuscite nel loro intento.
Photo ©Dario Monetini