Andrea Populous Mangia è un amico, e forse proprio per questo ci siamo presi la licenza di proporgli un editoriale fuori dalle righe, soprattutto per chi lo conosce abbastanza bene. E, come da attese, la scelta si è rivelata giusta: Andrea è stato il soggetto perfetto per il nostro shooting, frutto degli scatti di Cristina Lorenzi e dello styling di Ramona Tabita.
Riconosciuto internazionalmente come uno degli artisti più interessanti nel campo dell’Intelligent Dance Music – lo confermano le pubblicazioni sull’etichetta Morr di Berlino, se pensi all’artista salentino, sbagli a concentrarti solo sulla musica, nonostante una laurea in musicologia. Andrea è una persona che incarna perfettamente quella visione del contemporary lifestyle che è alla base della nostra linea editoriale: una di quelle figure da scoprire a 360°, le cui influenze anche più remote si riverberano costantemente nel suo lavoro e che ha sempre cercato di creare un macrocosmo di suggestioni di ogni genere attorno alle sue melodie. Lo dimostrano anche i numerosi progetti coi quali ha potuto esprimere la varietà del suo talento musicale: da Populous, suo moniker storico, con il quale ha pubblicato Quipo (2002), Queue for Love (2005), Drawn in Basic (2008, con Short Stories), passando per Girl with the Gun, progetto electro-folk il cui ultimo album Ages è uscito a inizio 2014, e Life & Limb. Quest’ultimo merita un capitolo a parte, trattandosi di una fortunata collaborazione con Mike McGuire (cantante degli Short Stories), nata e concretizzatasi online, che ha dato vita ad un disco omonimo considerato uno dei migliori esempi di dream pop degli ultimi anni. Per farvi un’idea, ascoltatevi il singolo Nadja.
Abbiamo deciso di cogliere la palla al balzo, sfruttando la sua celebre apertura mentale ed autoironia per proporgli cinque outfit che non avrebbe probabilmente mai vestito, divertendoci/si, cercando di creare volutamente un contrasto col tipo di contenuto che avrebbe veicolato in un’ora di intervista fiume a proposito del suo nuovo album ma anche del suo rapporto col mondo della moda, del design e del mainstream. Un mondo spesso demonizzato, ma sul quale Andrea – con la sua aperta e disinteressata sincerità – possiede una visione precisa.
Ed ovviamente, dal momento che siamo su Polkadot, il concept che abbiamo studiato per i nostri scatti non poteva non essere che in tema. Ringraziamo Damien Hirst per l’ispirazione.
Concept: Gianvito Fanelli, Cristina Lorenzi, Ramona Tabita
Fotografie: Cristina Lorenzi
Styling: Ramona Tabita
Location: SpaceON Navigli
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Partiamo dal nuovo disco e da quello che abbiamo potuto ascoltare: non ti chiederemo perché sei tornato al moniker Populous, dopo qualche anno sotto altre identità, ma sicuramente ci interessa capire cos’è successo musicalmente. Ci sembra che tu abbia vagamente cambiato genere.
Io non sento di aver cambiato genere, non condivido la vostra osservazione.
Beh, non ci pare che un pezzo come ‘Brasilia’ sia proprio nelle tue corde come produttore.
Se cerchi di contestualizzarlo, rimani spiazzato. Sapevo che avrebbe creato un po’ di “sconcerto”, sorpresa fra chi mi conosce, ma in realtà all’interno del disco capisci due cose: A) non è rappresentativo del sound dell’album; B) è solo una declinazione di ciò che sto cercando di fare. E quello che sto cercando di fare è una rivisitazione della world music, della musica etnica, tribale, l’etno-music in genere. Il Brasile era un posto da “visitare” per forza, poi credo che facciano musica meravigliosa da sempre, ero quasi obbligato a giocarci. Senza però fare musica brasiliana, perché non ne sarei capace.
Tutto l’insieme del disco non è diverso dalle mie cose. Chiaramente sono passati sei anni e mi sono evoluto tantissimo come persona e musicista, ho avuto diverse collaborazioni che mi hanno influenzato: è ovvio che suoni diversamente, perché il suono deve giocoforza evolversi. Non mi sembra però un cambio così netto: ciò che conta sono le atmosfere, il mood, le melodie, quello spleen che cerco di dare a tutti i miei pezzi. Poi siano in 4/4, o suonino moombahton, non conta, sono solo generi che puoi usare per esprimere te stesso. Non ho uno stile definito, cerco di esplorare il più possibile, ma con una certa coerenza di fondo.
Il nostro ragionamento nasceva da un semplice confronto: il tuo stile è sempre stato riconoscibile e distinguibile facilmente. Prendi le tue voci oniriche, dilatate o le sezioni ritmiche molto “fredde”. Brasilia ha un’attitudine dance diversa rispetto ai dischi precedenti e lo vediamo anche nei dj set che fai, molto da dancefloor.
Il mio spostamento verso l’ambito dancefloor è indubbio. Io comunque ho un background rock, poi ho ascoltato molta black music ed hip hop; il contatto con la musica da dancefloor è avvenuto pochi anni fa, per cui una cosa che ho sicuramente sviluppato in questi anni è una certa attitudine a programmare i pezzi anche in quest’ottica: non necessariamente da ballare, ma con dei suoni sicuramente vicini a questo concetto: corposi e rotondi. Poi non importa che vadano ad 80 o 125bpm.
Nel disco nuovo i bassi sono stati fondamentali e una delle mie richieste per il mastering (rigorosamente analogico) è stata di preservarli a discapito del volume alto delle tracce.
A proposito di viaggi, visto che il disco è stato masterizzato a San Francisco. Che tipo di viaggio ci farai fare con questo disco? Brasile e poi?
Mi sono immaginato questo safari fatto di notte e credevo fosse il frutto della mia immaginazione, non qualcosa di reale. Parlandone con un amico, invece, mi sono reso conto che i Night Safari sono interessantissimi e del tutto reali! Non immaginavo esistessero veramente e da lì ho deciso di chiamare così il disco. Quello che ho fatto è lavorare con delle cose di impatto, ma trasognate, da sogno di una notte di mezz’estate. Misterioso, oscuro. Una luminosità che sta per arrivare, come quando aspetti l’alba. Un viaggio nella savana, nell’Asia, in Brasile, in India… E da lì mi sono lasciato ispirare ogni volta dagli strumenti tradizionali di ogni area.
E li hai campionati?
Ho fatto una grande ricerca di suoni: li ho presi da dischi, field recordings, registrati dall’iPhone, archivi presi da ambienti nella savana, nella giungla, nei fiumi. Li ho tagliuzzati ed in qualche modo li ho messi dentro i pezzi, anche lì dove con un ascolto superficiale non ti accorgeresti. Alcuni suoni sono melodici, ma del tutto naturali. Volevo un po’ di sana musica concreta.
La tua idea del disco era già chiara nella tua testa o è il frutto di una gestazione lunga, di un’evoluzione costante?
Avevo delle idee melodiche sui pezzi ed ero nella fase in cui non sapevo ancora che direzione avrebbero avuto. In quel periodo, che poi è un anno e mezzo fa, stavo ascoltando diverse cose, tra cui Debruit, M.I.A., The Knife e poi è venuto The Inheritors di James Holden. Avevo già pensato a qualcosa di minimale, dove tenere i suoni della Roland 808 e quelli tribali. Quando è uscito quel disco sono rimasto shockato: “Anche lui!”. Quello che stavo pensando era stato pensato da altra gente che stimavo, avevo la conferma che cercavo.
Mentre stavo già procedendo ho sentito un pezzo di Digi Galessio sotto l’alias nuovo Clap! Clap! e non avevo idea di cosa fosse. Altra gente in Italia che va verso quella psichedelia etnica e molto fisica, oscura, con suoni percussivi, bassoni grossi. Ho subito scritto a Cristiano, con cui ero già amico, ed abbiamo subito cominciato a scambiarci idee. Mi ha coccolato molto e poi, naturalmente, è finito nel disco. È il mio artista italiano preferito.
Che hai in serbo con lui?
Abbiamo fatto tre pezzi: due con Clap! Clap!, quelli più strani, ed uno più tradizionale, un moombahton classico a 108bpm, che verrà fuori come Digi Galessio. Siamo entrambi molto contenti, dei pezzi e del disco in generale.
Quanti pezzi avrà?
Ne aveva 12, ma parlando con Digi li abbiamo tagliati a 11. C’era un pezzo hip hop ma lo abbiamo deciso fuori dal disco, perché un po’ distante dal mood generale.
A proposito invece dell’aspetto visivo: ci parli della collaborazione con Kae e Naro Watanabe?
Innanzitutto sono miei amici, è stato facile averci a che fare. Naro lo conosco da un bel po’, gli ho detto cosa pensavo, gli ho fatto ascoltare il pezzo e lui mi ha proposto delle idee: mi piaceva quella del video che scorre, un po’ paraculo per via di quest’estetica tropicale che ora va per la maggiore.
Infatti: ci sono i Mondiali.
Non sapevo nemmeno che fossero in Brasile, su questo non sono stato paraculo (ride).
Con Kae, invece, siamo amici sui “social”, avevo visto diversi lavori sul suo portfolio, pensavo che il mio disco suonasse come le sue grafiche, perciò le ho subito chiesto di collaborare.
Parliamo del live e della sfiga clamorosa che ti ha colpito: la scheda audio si è rotta due ore prima, ma poi fortunatamente siete riusciti ugualmente a esibirvi.
Parliamone: l’altro io e il mio percussionista abbiamo provato la scheda audio maledetta, senza averla mai toccata dal live, per capire cosa fosse rotto… E funzionava senza problemi. Siamo rimasti attoniti, non capivamo quale fosse il problema. Lì a Roma aveva un suono completamente distorto; il tecnico ce ne ha fornita una simile, ma senza gli stessi effetti e senza soundcheck. Alle persone lo show è piaciuto ugualmente, ma era assolutamente lontano da ciò che volevamo esprimere.
Cioè?
Un impatto potente, coi pezzi più fisici del disco. Il problema è che entrambi suoniamo le percussioni, ma senza tante prove non è il massimo della vita. Per i prossimi live, a luglio, sarà tutta un’altra storia. Il 12 luglio al Fuck Normality Festival suonerò con SHIGETO e Godblesscomputers.
A proposito di Fuck Normality e di Salento: tu vivi lì, una scelta “forte” che in qualche modo ti può anche penalizzare.
In realtà sono sempre in giro, ho uno spirito “gipsy”. Quelle volte che mi capita di essere fuori incontro sempre mille persone quindi il contatto reale ce l’ho e credo sia ancora molto importante. Mi capita di incontrare persone che conoscevo solo su FB e magari mi dicono cose che altrimenti non mi avrebbero detto. E quindi penso che se stessi a Milano la mia vita potrebbe prendere un’altra piega, ma non amo fare troppi calcoli. La mia priorità non è far serate, non mi va di programmare la mia vita per quest’aspetto.
Sei un giramondo. Consigliaci una bella meta.
Non è che poi viaggi così tanto. Uno dei miei posti preferiti è Parigi: è la città più bella che io abbia visto. Roma ha delle ottime potenzialità ma è gestita dai cani, non mi sento a mio agio.
Un posto dove vado più volte l’anno è Londra, per motivi futili tipo comprare vestiti.
Ma spesso i dj sono attaccati quando attenti al vestiario.
Questo discorso lo si può fare con Steve AOKI che fa un casino per nascondere il fatto che non fa un cazzo! Non si tratta di vestirsi in maniera stravagante, mi vesto normalmente, la mia passione per la moda non è così fuori dalla norma.
Facciamo svaccare l’intervista: “siamo ciò che mangiamo”. Tu cosa sei?
Ho una passione per le focacce. Ultimamente sto facendo spesso il brunch perché mi sveglio tardi, in generale mi piace il salato.
Ma la tua musica non è molto salata, magari dolce.
Allora crema catalana.
L’abbiamo mangiata a Barcellona, non ci ha convinto moltissimo.
In Spagna non sanno cosa voglia dire “cibo”.
Ma fanno il Primavera.
E il Sonar.
Perché in Italia non ci riusciamo?
Vero, però facciamo tante cose più piccole, come il Fuck Normality, Contronatura, Club to Club, Ypsigrock. Manca l’eventone. Abbiamo la mafia, le persone incompetenti (specie a livello istituzionale), la SIAE. Non ci mettono nelle condizioni di fare cose fighe.
Dovresti organizzarlo tu.
Sono paranoico e non ho pazienza, mi scogliono perfino a fare la mia musica. Poi sento il peso di concludere e concludo, ma fare un festival è qualcosa di molto più complesso e pratico. E io non sono pratico!
Non sei facile da identificare caratterialmente, in console sei cazzuto, poi ti vediamo in altri contesti e vorremmo abbracciarti.
Sono ipocondriaco ed ho paura di un sacco di cose, spesso infinitesimali. Figuriamoci se dovessi organizzare qualcosa di grosso.
E come la vivresti una possibile notorietà mainstream?
Quello che faccio non potrà mai essere mainstream, ma essere conosciuto nell’underground non mi cambierebbe nulla. Cambiamo domanda: “ma se ti mettessi a fare altra roba?”, allora ti direi che ci ho pensato spesso, anche perché ho ricevuto proposte stravaganti, dal mainstream alla televisione. Qualche domandina me la sono fatta e mi sono risposto che non so ancora se ho voglia di entrare in un mondo come questo.
Provaci, c’è bisogno di una voce diversa.
Mi contattavano proprio per questo, vedremo.
Prendi Mengoni e Sam Smith, voci simili, qualità musicale diversa.
Mengoni è bravissimo, ma gli fanno fare degli aborti, sì. Sam Smith viene da un posto, l’UK, dove la musica ha tutt’altra importanza.
Allora facciamo un ft. con Mengoni e nobilitiamolo.
Rido perché più o meno mi hanno proposto qualcosa di simile, non con lui…
Checcò dei Modà o Emma.
Emma è simpatica, ma non ci lavorerei.
Con chi lavoreresti? Magari leggono e ti chiedono di collaborare.
Cesare Cremonini e Malika Ayane.
Erano anche fidanzati, qualche tempo fa avresti potuto fare qualcosa a tre. Fra l’altro l’ultimo di Cremonini ha qualcosa di elettronica.
Penso sia stato influenzato dai Coldplay, c’è questo trend ultimamente.
Che ne pensi del loro pezzo con Avicii, ‘A Sky Full of Stars’?
Tremenda. Non mi piace proprio per un cazzo, sa di stadio e di gente truzza.
Domanda obbligatoria sulla fantomatica “scena italiana”.
Ci vogliamo tutti bene, ma mi sembra che rimanga tutto fra di noi, che fatichi ad uscire e diventare di dominio pubblico. Invece potrebbe piacere ad un sacco di persone. Mi fa piacere, per esempio, che i cantautori italiani siano ascoltatissimi, però mi spiace che in ambito di musica elettronica si sia abbastanza esterofili.
Chiudiamo con la moda: sappiamo che stai curando personalmente il merchandising del tuo disco con il nostro caro amico Tiziano di Moustache Style.
Sarà tutto in edizione limitata. Scritte ed illustrazioni rigorosamente fatte a mano, così come lo scolorimento delle maglie, fatto da una ragazza di Como. Una piccola produzione ma curata.
Non solo un producer, anche uno stilista. Chi è il tuo preferito?
Prada, Paul Smith, YSL o anche cose più plebee come Cos, Carhartt.