Abbiamo incontrato Davide e Filippo, creatori e menti creative dietro Minimarket, uno dei fenomeni streetwear italiani del momento.
Abbiamo preso una birra con loro, e ci siamo fatti raccontare come si fa ad essere una giovane azienda di successo in questo momento in Italia.
Perchè Minimarket?
Non c’è un vero motivo, inizialmente ci chiamavamo “Minimarket Del Riciclo”, perchè ricondizionavamo capi vintage.
Poi piano piano abbiamo creato vere e proprie collezioni, quindi abbiamo deciso di chiamarci solo Minimarket.
Il logo iniziale erano un paio di forbici infatti, perchè producevamo tutto a mano.
Nelle vostre collezioni predomina il totalblack, come mai?
Noi seguiamo sempre le tendenze.
le prime collezioni erano fiorate, colorate, diciamo che abbiamo captato tutto quel movimento che c’era da un po’ all’estero come HBA, KTZ prendendolo in una chiave diversa.
Poi quando una cosa è tendenza la gente ti chiede quello.
Magari la prossima stagione se ci intervisterai ci chiederai perchè facciamo tutto rosso.
I vostri capi nascono come unisex?
Noi non siamo dei fashion designer, non abbiamo studiato per questo, quindi non è facile per noi capire e interpretare l’esigenza della donna.
in questi anni siamo stati fortunati e abbiamo cavalcato il fenomeno unisex e oversize, stiamo però pensando anche alla donna, avendo molta richiesta.
Per che tipo di persona è pensato Minimarket?
Noi abbiamo un target molto chiaro, e va dai 14 ai 34 anni, su 3-4 brand lavoriamo più sui teen e altri riusciamo a prendere un pubblico più maturo ed esigente.
Come è nato il brand?
Un giorno ci siamo incontrati e detti “Troviamo un modo per fare dei soldi insieme” entrambi lavoravamo già nella moda ma non facevamo i designer.
Adesso però ci viene bene questo mestiere, in soli 4 anni, abbiamo 30 monomarca, 550 multibrand e un e-commerce che lavora come un negozio pieno tutti i giorni e poi produciamo per tanti altri marchi che non distribuiamo direttamente. Siamo riusciti a creare un’azienda dal nulla.
Qual’ è il segreto del successo di Minimarket?
Noi lavoriamo tanto, siamo partiti che avevamo 500 euro in tasca e adesso l’azienda fattura miglioni di euro, e questa è una grandissima soddisfazione, in un momento di difficoltà come questo.
Abbiamo cavalcato il trend dei social fra i primi, 4 anni fa abbiamo incominciato a vendere i capi su Facebook, e ti posso assicurare che 4 anni fa non lo faceva nessuno.
Noi facevamo fast fashion, mentre gli altri avevano le collezioni, noi andavamo al Pitti e dopo 15 giorni la collezione era distribuita, gli altri dovevano aspettare 6 mesi.
Poi sicuramente parte del successo è dovuta ai prezzi contenuti e al totale Made in Italy.
Molti brand streetwear come voi, stanno lanciando le loro linee bambino, ci avete mai pensato?
L’abbiamo prodotta per una stagione ed è andata benissimo, ma l’azienda alla quale ci appoggiavamo per la produzione è andata in fallimento, non è un momento facile per l’Italia questo.
Il brand si chiama Minimarket For Teen (dai 3 ai 14 anni).
Il bambino è diverso dall’uomo, se sbagli il tessuto e il bimbo ha un irritazione la mammma può farti causa, quindi la produzione va data in mano a chi fa quello.
E gli accessori?
Abbiamo provato con i gioielli ma non è la nostra storia, oltre a cappellini e zainetti adesso abbiamo lanciato i nostri calzini, abbiamo venduto l’estivo ed è già pronto l’invernale.
Progetti per il futuro?
Continuare a viaggiare e scovare nuove tendenze. Grazie ad uno dei nostri viaggi a Londra, è nato infatti il nostro nuovo progetto parallelo, che si chiama Darkroom.
Avevamo il problema che il nostro prodotto fosse un po’ “inflazionato”, per il ragazzino questo non è un problema, ma abbiamo un pubblico un po’ più alto che ci dice “Vorrei prendere quella maglia ma ce l’anno il 50 nel locale”.
Per questa tipo di clientela collaborando con stilisti londinesi e giapponesi abbiamo creato un progetto che ha pezzi unici e sartoriali.
Poi fra i nuovi progetti il brand di Pierpa Peroni.