Cappello in testa e lunga barba, Capibara è uno dei producer di maggior talento che l’Italia possa vantare in seno a un panorama elettronico sempre più vivo e frizzante. Romano (e romanista), fresco di pubblicazione del nuovo album “Gonzo” e proprietario della White Forest Records, Luca Albino – questo il suo vero nome – sarà tra i protagonisti dell’A Night Like This Festival di Chiaverano, insieme ad altri artisti del calibro di A Place To Bury Strangers, Populous, C’mon Tigre, Drink To Me. Abbiamo scambiato una lunga chiacchierata con lui, dalla quale estrapoliamo i passaggi salienti (leggi: escludiamo i momenti in cui abbiamo discusso di fantacalcio, però vi basti sapere che è arrivato terzo schierando Meggiorini in attacco).
Come e quando è nata White Forest Records?
La prima riunione si tenne il 12 dicembre 2012, l’apertura ufficiale a febbraio 2013. Sono già due anni di attività, insomma. Tutto è nato da una telefonata a Lorenzo Corsetti dei 12 Inch Plastic Toys: siamo due persone estremamente diverse sia per la musica che facciamo sia per quella che ascoltiamo, ma l’ho sempre considerato un ragazzo molto serio e attivo. Gli ho proposto di fondare un’etichetta insieme e così è nata White Forest. All’inizio abbiamo messo tutto in free download su Internet, con il tempo abbiamo avviato l’attività ufficialmente, anche da un punto di vista puramente legale, sbrigando tutte le pratiche burocratiche del caso. Abbiamo così stampato il vinile di “Veleno” di Godblesscomputers, abbiamo prodotto cassette e cd, lasciandoci per fortuna alle spalle l’etichetta di “netlabel” che qualcuno ci aveva affibbiato.
Quali sono le produzioni di cui sei più orgoglioso?
La risposta classica che ti darei è “sono orgoglioso di tutti”. Poi ovviamente ci sono alcune cose che amo particolarmente: “Mandala” di Ioshi & Sabir o “Kepler” dei Dropp. Ultimamente sono molto soddisfatto dei Celluloid Jam che per me spaccano e dovranno spaccare anche all’estero. Per non parlare di Montoya. Nel cuore ho Sabir, è uno dei più grandi in Italia. Stiamo lavorando sul prossimo album, sarà un disco hip-hop vero e proprio con tantissime collaborazioni, anche dall’estero.
“Jordan” è uscito l’anno scorso, a meno di un anno di distanza è arrivato “Gonzo”.
“Gonzo” è nato davvero per caso, in fondo “Jordan” ha compiuto un anno appena il 2 luglio scorso. Sono stato in tour estate e inverno, sentivo che volevo proporre subito qualcosa di nuovo. Non l’ho programmato, però. Probabilmente avrei aspettato e invece…
https://www.youtube.com/watch?v=Bl8JztEM038
Anche dall’ascolto di quest’album emergono influenze e sapori di altre culture: medio e estremo Oriente in particolare. Prendi la title-track.
La linea vocale di quel brano è un campionamento di un pezzo thailandese anni ‘50/’60 che avevo scoperto casualmente su Internet. Sono influenze effettivamente presenti, con le quali mi piace giocare molto.
Ti piace Omar Souleyman?
Cose come Omar Souleyman, ad esempio, mi fanno simpatia, sebbene non capisca perché ora come ora vengano pompate così tanto.
Il disco è ricco di collaborazioni.
C’è Sgamo, un ragazzo pugliese molto in gamba. L’ho scoperto grazie a Vincenzo Palazzo del Kode_1 di Putignano, dove più volte ho suonato. Sgamo ha aperto per me una data a Monopoli. Lui nasce come rapper ma col tempo ha fatto un gran percorso, molto vario se vuoi. Poi in un altro brano, “Tvmblr Girl”, c’è Matteo Iacobis dei Boxerin Club. Mi piace perché è un cantante pop ma ha ascolti molto vari – in macchina con lui ascoltiamo M.I.A., per dirti. I Boxerin hanno tanta qualità: è un pop caraibico fatto davvero con tutti i crismi. In fondo anche i Vampire Weekend cominciarono così, mi auguro che riescano a crescere ancora e ancora: dal canto loro ci mettono tanto impegno.
Negli ultimi tempi ho l’impressione che ci sia maggior attenzione per l’elettronica nostrana. Alcuni parlano anche di “scena”, come successo qualche anno fa con il revival indie/cantautorale.
A differenza del cantautorato però ci sono meno soldi (ride, ndr). Sicuramente verso l’elettronica oggi c’è maggiore attenzione.
Di certo grazie ad artisti come Populous, te, Clap! Clap! si sta creando un ponte tra l’elettronica e altri mondi musicali. Alcuni vostri nuovi fan fino a poco tempo fa magari nemmeno ascoltavano elettronica e invece guarda oggi: festival come Spring Attitude qui a Roma ospitano tanti italiani in line-up, i quali spesso sono i più apprezzati.
Alla lista aggiungi anche Giulio (Go Dugong, ndr) e Lorenzo (Godblesscomputers, ndr), per dirne solo altri due. Secondo me c’è attenzione e soprattutto si è riuscito a creare un forte network tra gli artisti. All’epoca dell’esplosione dell’indie/cantautorato – 7 anni fa o giù di lì – c’era però un maggior investimento e un miglior ritorno economico, credo. Oggi i festival di genere funzionano molto, purtroppo a livello singolo è difficile fare grande numeri, anche come presenze di pubblico. Comunque, il fatto che non ci siano ancora soldi nella scena può essere visto come un bene perché così – almeno per ora – c’è più purezza e meno esaltazione. Tra un paio d’anni credo che la scena farà finalmente un salto di qualità.
Pensi che riusciremo un giorno ad avere un panorama musicale nazionale in cui voi potrete collaborare e produrre anche artisti mainstream?
Credo di sì, sarebbe una cosa bella e di cui anche il grande pubblico potrebbe giovarsene. Di base, comunque, io credo sia positivo se un artista – dopo anni di gavetta – riesce ad avere successo anche presso un pubblico mainstream. Prendi Neffa, anche se ha cambiato coordinate stilistiche.
Ripercorriamo la storia di Capibara come ascoltatore.
È cominciato tutto a 11 anni, quando mi passarono una cassetta del Wu-Tang Clan. Ho scoperto i classici dell’hip-hop: Cypress Hill, Public Enemy. Sono come i Led Zeppelin per il rock. Se non parti da loro e ascolti solo hip-hop contemporaneo, non hai un metro di comprensione valido per capirlo. Non ci possono essere distinzioni tra old school e new school.
Kendrick Lamar?
Il suo ultimo disco è un capolavoro. C’è chi ne ha parlato male: il perché lo abbiano fatto è un mistero.
Rap italiano?
Mi è piaciuto da morire il nuovo disco di Francesco Paura. Salmo e Mecna sono forti. L’ultimo di Guè Pequeno ha grandi produzioni, a livello di testi però alterna mine assurde a pezzi scadenti. I Dogo degli inizi restano su un piano più alto.
Cosa ne pensi del rap a Roma?
Hai presente quando succede una cosa troppo bella e si vive all’ombra di quello? Quello che è successo con i Colle Der Fomento o gli Assalti Frontali è stato così grande che oggi mi pare ci siano difficoltà ad avere un ricambio adeguato o una ventata di novità.
Tu ascolti di tutto, vero?
Assolutamente sì. L’altro giorno, per dirti, ho ascoltato sia il nuovo dei Tame Impala sia quello di Maruego. Io sono contro la settorializzazione della musica, non mi piacciono quelli che si chiudono nelle proprie campane e non ascoltano altro. Pensa piuttosto a gente come Jamie xx che chiama Popcaan nel suo disco: come sdoganare il reggae più moderno alle orecchie di chi probabilmente non l’ascolterebbe mai.
La cosa che mi ha colpito di te dall’inizio è che ascolti molto reggae e dancehall. Non è scontato.
Avoglia. Ultimamente ascolto moltissimo Protoje: riprende la tradizione del reggae con una produzione molto moderna: suoni elettronici, synth e 808. A me piace tanto andare a serate reggae o dancehall, la gente ci va davvero solo per ballare e divertirsi, senza paranoie e ormoni a palla. È una cosa che difficilmente trovi in altri contesti.
Pensi che si possa trovare da Major Lazer?
Lo vidi a Roma qualche anno fa a Parco Schuster, c’erano anche i Mount Kimbie che però non mi piacquero per nulla. È uno spettacolo gigante, molto divertente, anche se di live c’è davvero poco e niente.
A quali concerti sei stato recentemente?
Ho visto Damian Marley a Rock In Roma. Non è stato il top: è pur sempre Damian, ma nulla per cui strapparsi i capelli. L’after-show con Cham invece mi è piaciuto da morire, lui è davvero fortissimo.
Ti è piaciuto il pezzo di Damian con Skrillex?
Molto, è una bomba. Comunque recentemente il concerto di D’Angelo all’Auditorium Parco della Musica è stato clamoroso. Uno spettacolo incredibile sul palco. Mi è dispiaciuto che non ci sia stato il sold-out: Roma è una città strana, D’Angelo avrebbe meritato molto di più in termini di presenze.
Hai mai pensato a realizzare colonne sonore in ambito cinematografico?
Mi piacciono molto le arti visive, non a caso studio grafica. Sarebbe molto bello. In ambito cinematografico ho gusti molto vari: amo “Koyaanisqatsi”, la cui colonna sonora è stata realizzata da Philip Glass. Sono un grande fan dell’horror, dai classici del passato alle produzioni moderne di serie B, tipo la serie di “Mega Piranha”. Per me il miglior regista del genere è James Wan: dal primo “Saw” a “Insidious” fino a “L’evocazione – The Conjuring”, probabilmente il suo capolavoro assoluto. O ancora, sto in fissa per “Fast and Furious”: “Tokyo Drift” è notevole, peraltro c’è Yung Lean che ha intitolato così una canzone splendida.
“James Harden” è un brano del tuo primo album. Omaggio al cestista barbuto a parte, ti piace l’NBA?
Ci passo le notti. Io simpatizzo per gli Atlanta Hawks.
Programmi futuri?
Ci sono alcune novità che bollono in pentola ma per ora non posso parlarne. Nel frattempo cercherò di suonare in giro il più possibile.
Sogni?
Un album puramente R&B oppure un altro tutto con grafiche riprese dal metal. Poi girare un po’ di più e visitare posti nuovi. Credo di essere l’unico italiano a non essere mai stato a Londra, prima o poi mi toccherà recuperare.