Da poco ha visto la luce il suo secondo EP – “Gata”, un viaggio elettronico a colori che passa da tinte scure e cosmiche a quelle della natura, creando un paesaggio sia sonoro che visivo. Harptical, pseudonimo sotto cui si cela GianMarco Nitti, è un giovane producer pugliese da poco trasferitosi in Scozia, fra castelli, scogliere a strapiombo, pioggia, litri di birra e una certa ‘noia’ musicale. Una noia di quelle che, però, ti costringe a passare molto tempo all’aperto e a concentrarti su pochi ed essenziali suoni: ingredienti che stanno dentro Gata e che GianMarco ci ha raccontato in questa intervista.
Arroyo è l’etichetta/progetto sui cui è pubblicato l’EP. Le cover sono curate da Massimo Missoni di Studio Proclama e ruotano tutte intorno alla tematica della casa-mobile, rappresentata da una tenda. La figura triangolare viene reinterpretata di volta in volta, come in questo caso in cui diventa uno scheletro fatto di neon immerso nel rosso (richiamando la traccia più significativa del disco, “Röd”, che in svedese indica proprio il colore)
Polkadot: Ciao GianMarco. Innanzitutto, come va in Scozia e come ha influito il tuo trasferimento sulla tua visione artistica di te stesso e di ciò che ti sta intorno?
Harptical: Ciao! La Scozia mi sta facendo vivere in maniera più tranquilla. Meno smog, meno spostamenti, meno tutto in generale. Dal punto di vista strettamente musicale, la sua influenza al momento è nulla. La città dove vivo è uno splendido posto (Aberdeen), ma è come se fosse stata risucchiata in un viaggio del tempo. Direi che possiamo collocarlo intorno al 2003.
Te ne accorgi innanzitutto dal vestiario medio della gente, la tuta tutto il giorno è un must qui, spesso invece tornando in una prospettiva prettamente musicale, il posto dove vivo non ha praticamente varietà. La chart music fa da padrone un po’ dovunque, serate studentesche dovunque (si balla prima su Paradise City dei Guns n’ Rose e poi il dj passa Rihanna, ad esempio). Capirai bene che il mio stile compositivo “viva di rendita”, scrivo grazie alle influenze ricevute in Italia, diciamo così. Inutile ricordare che internet rimane una fonte dal valore inestimabile in questo momento, per riuscire ad ascoltare musica.
Spesso guardiamo fuori dal nostro Paese come se ci fossero meraviglie inesplorate, e tendiamo invece a snobbare l’offerta di casa nostra. Muovendomi all’estero, posso dire che Milano dal punto di vista musicale sia un terreno estremamente fertile, almeno nell’ultimo periodo. E devo dire che mi manca veramente tanto sotto questo punto di vista. Club(piccoli e grandi), sale concerto e negozi di dischi del capoluogo meneghino sono stati per me una fonte inesauribile di idee per la mia composizione come Harptical.
P: Cosa significa ‘Gata’, il nome del tuo EP recentemente pubblicato su Arroyo?
H: Gata significa “strada”, è in lingua svedese. Do più importanza al suono di una parola, più che al suo significato. Ci sono parole che suonano tremendamente bene al di là del significato che veicolano, e Gata secondo me è una di queste. Racchiude a pieno il senso del disco, le cui sonorità sono un misto tra atmosfere oniriche, a sfondo rituale ma che, allo stesso tempo, racchiudono un forte senso di energia.
P: Nella descrizione del tuo EP, si fa menzione ad uno spazio sonoro che rappresenta la tua visione estetica. Ci descrivi questo spazio, le sue caratteristiche e in che modo rappresenta, attraverso la musica, un immaginario? Che tipo di immaginario è?
H: Non è qualcosa di ben definito sicuramente. Ho dei ricordi della mia infanzia legati a spazi aperti, di luce accecante che si espande su campi immensi. Spesso ritrovo queste immagini nei miei sogni, a tal punto che spesso non riesco a ricordare se si tratta di luoghi e atmosfere che ho realmente visto e vissuto, o se sono solamente parte della mia immaginazione. Queste immagini mi provocano un forte senso di nostalgia, di malinconia di tempi passati, sebbene non collego questo insieme di sensazioni a qualcosa di negativo, anzì.
P: Cosa significano i nomi delle tracce?
H: Svart, Röd, Lila, Vit, Ljusblå sono i nomi (in svedese) dei colori che ho associato alle tracce che compongono Gata. L’associazione procede su due binari paralleli: il primo, come per Gata riguarda il suono delle parole, il secondo, predominante è relativo alle sonorità che caratterizzano ogni traccia. Ho scelto lo svedese, come lingua, perché comunica un certo senso di freddezza e impenetrabilità, in contrasto con i colori semplici, ma vivi della copertina.
P: Arrivato a questo punto, cosa credi di aver imparato e interiorizzato con questo EP? E quali altri passi vedi davanti al tuo cammino?
H: Credo di aver composto il materiale di Gata in una maniera più complessa e matura rispetto al primo disco Flytande, a cui però devo tantissimo perchè mi ha permesso di suonare in giro molto durante tutto il 2015.
Per il futuro, beh, è una domanda assolutamente difficile a cui rispondere. Non posso negarti che sto avendo difficoltà a pensarci. Ho bisogno di stimoli esterni continui per continuare a comporre. DI sicuro lo farò, ma a Milano mi veniva estremamente semplice. Andavo ad un club e il mattino dopo rielaboravo le idee ascoltate e buttavo giù un pezzo, o dei beat da utilizzare durante i miei live. Qui invece devo farmi 300 km per andare a sentire qualcosa di decente a Glasgow, ma niente paura, lo sto già facendo. Purtroppo sono così: non riesco a comporre a macchinetta perché devo, ma lo faccio quando ho qualcosa che mi ronza nelle orecchie che ho assimilato e che rielaborerò. In ogni caso, il mio nuovo materiale, a cui sto già lavorando, cederà terreno all’analogico più che al digitale, e si adatterà ancora meglio allo scenario live, avendo ritmiche più decise e vicine all’aspetto dancefloor.
P: Ci parli dell’incontro con Arroyo, la piattaforma culturale che pubblica il tuo EP? Grande attenzione viene data alla parte visiva e nell’artwork domina il rosso: ci spieghi in che modo questo colore rappresenta la tua musica? È probabilmente l’ultimo colore che avremmo associato ai tuoi suoni, in qualche modo legati a spazi dall’aria rarefatta e immersi nella natura.
H: Ho conosciuto i ragazzi di Arroyo a Milano nel 2015, anno della pubblicazione di Flytande, quando il progetto discografico (e non solo), non era ancora nato. Durante il tour sono capitato a Pisa, città in cui la label è cresciuta, in uno dei primi live, alla serata “Spark” del Turn Off Festival. Ricordo che apprezzarono il mio set, e da lì ci siamo mantenuti in contatto, seppur saltuariamente. Arroyo nel frattempo è nata e cresciuta moltissimo. Nella scelta della label è stato determinante il potente concept che i ragazzi hanno creato sia a livello di direzione artistica che nella sua declinazione grafica, affidata a Studio Proclama. In più sono sulla stessa lunghezza d’onda a livello umano con i ragazzi della labe, che hanno una gran voglia di fare, che fa sempre piacere. Con uno dei ragazzi, mi sento praticamente tutti i giorni: mi piace come lavorano, si agisce all’istante, per qualsiasi cosa.
Per quanto riguarda la copertina, lo scenario creato da Studio Proclama si connette fortemente a “Röd” (che significa appunto “rosso” in svedese). Penso che più di tutte, questa traccia racchiuda nelle sue caratteristiche la sintesi del disco. In realtà, le altre tracce, comunicano un’infinità di altre tonalità, ma per la copertina, ho preferito che venisse veicolato qualcosa di estremamente semplice e diretto. Il rosso e il nero si prestavano facilmente a questo gioco. Tra l’altro, la prima traccia “Svart”, significa appunto nero. E se ci fai caso ascoltandola, le tonalità oscure hanno un ruolo predominante.
P: Dove e quando potremo sentirti live prossimamente?
H: Ho chiesto alla mia agenzia di booking due mesi di pausa dopo la preparazione del disco, quindi i ragazzi sono già al lavoro per definire alcune date, di cui ancora non so i dettagli. Il tutto comincerà a dicembre, e oltre all’Italia verranno sicuramente toccati altri territori.