Da circa tre anni, Michele Ducci e Alessandro Degli Angioli – M+A appunto – rappresentano una delle più grandi speranze del pop italiano contemporaneo. Anzi, più che speranza, diremmo già realtà, a vedere i risultati di critica e pubblico raggiunti col secondo disco “These Days”, uscito nel 2013 e la partecipazione ad importanti festival internazionali, il cui culmine è forse rappresentato dal main stage di Glastonbury.
I due, originari di Forlì ma veri e propri nomadi, hanno costruito una miscela molto elegante e riconoscibile che li colloca in un segmento ‘alto’ del pop: senza troppi compromessi, i loro pezzi attingono sapientemente da un background hip hop ed house, risultando freschi e ballabili sia su disco che live.
Michele e Alessandro non sono solo musica: sono un progetto a 360° che coinvolge in modo sincero anche le arti visive e la moda. Questa è un’altra componente che li colloca perfettamente nel pop non come moda passeggera, ma come un progetto coi suoi valori, la sua estetica peculiare e le sue possibilità di evoluzione.
E, a proposito di evoluzione, il 2017 sarà un anno molto importante per i due: vedrà la luce, presumibilmente a Febbraio, il loro terzo disco. Se il secondo ci ha confermato la bontà del loro sound, col terzo pare che gli M+A si stiano preparando (senza nascondercelo troppo) a raccogliere il meritato successo mainstream.
Grazie ad adidas Originals – di cui gli M+A sono diventati testimonial per le nuove NMD RX1, confermando la loro attitudine naturale verso la moda – abbiamo avuto la possibilità esclusiva di sbirciare (a inizio pagina) nel “making of” del disco con un video esclusivo (e un’anticipazione sonora di un pezzo inedito), registrato ai Tileyard Studios di Londra e di fare quattro chiacchiere con Michele e Alessandro.
Polkadot: Ciao ragazzi, come state? Cosa state facendo in questo periodo?
M+A: Ciao, bene. Siamo appena tornati da una sessione di registrazione a Londra, al Tileyard Studios.
P: Cinque mesi fa avete pubblicato il vostro singolo “Everything Will Be Alright”: una variazione sul tema rispetto al vostro sound elegantemente pop, una caratteristica che vi ha reso amati sia dai puristi che dagli ascoltatori più casuali. A cosa dobbiamo queste sonorità vagamente tropical house? Che tipo di atmosfere avete in serbo per noi col vostro prossimo disco?
M+A: Non saprei, è un mix di quello che ascoltiamo, di quello che ci riesce bene, un insieme di cose. La cosa fondamentale è che rimanga un equilibrio mai chiuso, questo forse è quello che ci interessa di più, che ogni brano abbia sfumature diverse, negli arrangiamenti e in quello che trasmettono.
Il prossimo disco sarà semplicemente incredibile :)
P: Dei 50 featuring di cui parlavate a Rolling Stone, alla fine quanti ne vedremo nel disco nuovo? Potete anticiparci qualcosina?
M+A: Non mi ricordo quali avevamo citato su Rolling Stone, saranno molti comunque. In realtà non sappiamo ancora chi, perché siamo proprio nella fase di scelta dei provini che ci mandano.
P: Oltre ad apprezzare la vostra capacità di variare il vostro suono e renderlo ricco, nonostante a conti fatti siate solo in due (o tre) sul palco, una caratteristica che ci ha sempre incuriositi sono le vostre voci ‘pitchate’: lo fate per una mera questione estetica o ci state raccontando qualcosa attraverso le vostre molteplici personalità?
M+A: Entrambe le cose. Pitchare le voci è dovuto al fatto che nei dischi e nei live le nostre voci cambiano molto, a seconda di quello che serve al brano: femminili, africane, soul, più pop, rappate. È una cosa che abbiamo sempre fatto. E credo che sia una maniera divertente per divenire cose diverse da quelle che sei. Anche per ammettere di essere schizofrenici.
L’ultimo singolo “Forever More”
P: Un aspetto non indifferente, e che avete sempre difeso senza che vi fosse appiccicato addosso come capita con gli artisti più sfacciatamente costruiti dall’industria, è quello legato all’estetica: i vostri artwork sono sempre ispirati – per deformazione professionale di Alessandro immaginiamo, così come avete voluto curare personalmente l’ultimo videoclip “Forever More”. Ci raccontate la vostra estetica, cosa la ispira quotidianamente e in che modo portate avanti questo approccio globale a tutto ciò che vi riguarda?
M+A: La nostra estetica siamo noi due, i nostri gusti, quello che ci incuriosisce, è stato così per le piante, per i pappagalli, per gli interni virtuali di stanze; per la cura di ogni cosa, che siano voci, palchi, luci, set. Chi lavora con noi lo sa e ci odia perché siamo maniaci.
Non saprei, comunque. Noi due cerchiamo di fare cose belle, cercheremmo di farlo anche se non facessimo musica, e lo facciamo anche in tutto quello che viviamo fuori dalla musica.
È come viviamo. Ci sono le deformazioni professionali, ma c’è anche proprio il fatto che si tratta sempre di visioni sulle cose, di tensioni, e queste sono le nostre.
Il discorso sarebbe lunghissimo, perciò chiudo semplicemente dicendo che circola troppo spesso un concetto sbagliato, cioè che bello è costruito e brutto e fatto male è sincero.
Bello è bello, brutto è brutto.
P: Il motto delle nuove NMD è “Past Empowers The Future”. Crediamo sia un concetto molto interessante e che in qualche modo già incarnate: è nota la vostra passione per l’hip hop, ma gli ultimi pezzi hanno una patinatura, come dicevamo, elegantemente mainstream. In che modo interpretate questa frase e ci raccontate come credete di incarnarla (anche con un esempio concreto NdR)?
M+A: Noi solitamente stiamo abbastanza ai bordi dei concetti, nel senso che il livello di immersione e alienazione in quello che facciamo è talmente alto che non riusciamo a vederci da fuori e dire cosa incarniamo. Se ci penso però mi viene in mente quel pensiero di Cortázar
secondo cui l’infanzia non è il passato, ma qualcosa che funge costantemente da orizzonte. Ecco mi sembra più o meno questa l’idea. Per un esempio concreto di come potremmo incarnarla, non saprei perché lo fa chiunque… Per il lavoro che facciamo noi diciamo che tutta la storia della musica, in questo caso pop, è una variazione e un tentativo di scrivere LA canzone, universale, perfetta, ecc. Sembra stupido ma so che inconsciamente la vivono tutti così in fase di scrittura. Ogni volta che qualcuno prova a scrivere una canzone incarna tutta la storia di questi tentativi, da qui poi le commistioni, tra generi, tempi e tutto il resto.
P: Vi sentite dei nomadi? In effetti siete di Forlì ma avete vissuto anche a distanza: in che modo vivete questo nomadismo? È per voi una cosa naturale, una difficoltà, un punto di forza?
M+A: È abbastanza naturale, nel senso di prima, cioè che nel bene o nel male siamo talmente assorbiti da quello che facciamo che infondo muoversi è come star fermi e viceversa.
P: Domanda provocatoria: vi siete accorti che sotto il video di Do The Shout, circa una settimana fa, un certo Nick ha scritto “If this only has 34,000 views that means there are 7,000,000,000+ people who are missing out.”? Immaginiamo vi faccia piacere leggere una cosa del genere, ma la domanda è: credete che col prossimo disco finalmente riusciremo a vedere due Italiani lassù nelle classifiche? Noi, sinceramente, lo speriamo.
M+A: Non avevo visto, grande Nick! Noi speriamo che il prossimo disco venga fuori come vogliamo, se esce così, 1 in classifica UK :)
E allora, dita incrociate e speriamo che il tempo passi in fretta fino a Febbraio.