Nuovissimo, vivace, luccicante, Il Palazzo Experimental. Mi trovo sulle Zattere, nell’elegante, limpida e ampia riva del sestiere di Dorsoduro, una delle poche che non conosce l’umidità di Venezia: esposta a sud, il sole vi batte costantemente, caratteristica che conduce gli abitanti a venire durante tutto l’arco dell’anno ad inebriarsi dei raggi di calore e della vista del canale della Giudecca, che si estende fino all’apertura sul bacino di San Marco, all’orizzonte il profilarsi delle isole. Qui ha appena aperto, nei primi di settembre, un tempio del design e dell’accoglienza francese in chiave post-moderna.
Entrandovi, in una domenica veneziana di inattesa pioggia, vengo immersa dalla luce, quella celeste che si riflette dalla laguna, e quella creata dalle superfici smaglianti di nuovo che ricoprono il locale: il marmo bianco venato di grigio del bancone del bar e dei tavoli, così come di tutte le superfici piane, in un exploit di raffinatezza rinascimentale; gli specchi, che trovo ad ogni angolo, numerosissimi, e che rendono lo spazio ancora più ampio in un gioco di rifrazioni e sguardi. Immagino la sala piena di gente, musica, profumi, come insegna la più modaiola hôtellerie parigina.
Dai soffitti alti e bianchissimi non scende un maestoso candelabro in vetro, ma si estende una costellazione di punti luce; le trifore gotiche con sottilissime griglie di ferro sono rinnovate dal profilo bianco, il grigio argentato e l’azzurro delle pareti donano conforto agli occhi, senso di pace e armonia, in un voluto rimando al cielo e acqua veneziani.
Quest’atmosfera di magica distensione è donata dalla designer francese Dorothée Meilichzon, che usa in modo sapientissimo gli elementi e colori della città lagunare, senza snaturare la storia dell’antico Palazzo Molin agli Ognissanti, celebre famiglia patrizia veneziana che annovera Francesco come doge (1575-1655), costruito alla fine del Quattrocento, il cui splendore degli elementi tardo gotici è stato valorizzato dall’attento restauro e dall’uso di materiali preziosi, i marmi Breccia Capraia e le piastrelle smaltate a mano. Le camere e suites del Boutique Hotel sono 32, e giocano sugli stessi principi: il legno massiccio delle testate dei letti è alleggerito dalle forme curvilinee con cui è sagomato, le sedute di velluto grigio argentato variano nella palette pastello, i comodini sono di alluminio serigrafato, dalla forma cilindrica ornati a strisce d’acciaio e le lampade cromate.
La sensazione favolistica è aumentata dai dettagli, che continuamente affiorano, rendono ogni visuale unica: le linee curve, della struttura delle sedute, delle cornici, degli oblò sulla cucina, delle lampade sferiche dalla superficie cromata e base in ottone, da un lato rimandano alla teoria di William Hogart nel suo saggio filosofico The Analysis of Beauty del 1753, manifesto del gusto rocaille, per cui la forma serpentina è la sola che suscita l’incanto della bellezza, in cui l’osservatore può perdersi ed inebriarsi, che evoca il senso della vivacità, del movimento, in un’allegra armonia sensoriale; dall’altro guardano alle forme pure reinventate da Ettore Sottsass, fondatore del movimento Memphis, per cui l’uso di geometrie, quali la sfera e il cilindro, e di colori sgargianti, hanno reso il kitsch parte della storia del design dagli anni ’80 ad oggi. L’elegante pulizia degli ampi spazi, le linee audaci ma semplici, l’uso del laminato plastico, che qui ritroviamo nelle strutture curve delle sedute, le textures colorate, riproposte nel pavimento quadrettato bianco e nero, sono tutti elementi atti a generare ottimismo. I canapés rivestiti di tessuto a righe in onore delle maglie dei gondolieri e il velluto bordeaux degli sgabelli del bancone bar, i bicchieri di vetro verde come i tappeti color della laguna, coniugano gli elementi della storia di Venezia con l’innovazione del décor francese, in un sottile ed elegantissimo gioco post-moderno di gusto – poco velatamente – retrò.
Il fatto che il palazzo fosse stato la storica sede della compagnia di Navigazione Adriatica, la cui insegna liberty ne contraddistingue la facciata, viene sagacemente giocato dall’Experimental Group, quattro ragazzi Made in Paris di grande coraggio e idee innovative che hanno svecchiato il panorama dei cocktails bar e dell’accoglienza aprendo locali da New York a Minorca, contraddistinguendoli sempre di un tocco chic e à la mode. Infatti, con l’appoggio dei partner dell’Italian Supper Club, tre giovani Made in Italy, ormai veri londinesi che hanno deciso di scendere in campo in Italia proprio per scommettere sul Ristorante Adriatica, la proposta è tutta legata alla nostra costiera. La carta ne ripercorre i gusti di terra e mare da Trieste a Lecce, passando per le Marche e l’Abruzzo: dalle brioschine con acciughe e pecorino, alla pasta ripiena fatta in casa, alla razza di pescato con verdurine di Sant’Erasmo, ai fromages con confetture. E le sculture di corallo, disseminate come punti di colore nella sala, ce lo ricordano visivamente. L’esperienza gastronomica è all’insegna della purezza degli ingredienti e dell’autenticità delle ricette della nostra terra, in cui la tradizione italiana per mano degli chef connazionali, che possiamo vedere in opera nella cucina a vista, si unisce al savoir faire di stampo francese.
Non manca il Coktail Club: un gioiellino firmato dalla designer Cristina Celestino, che vuole coniugare i suoi anni di formazione e studio in laguna omaggiando il genio dell’architettura veneta Carlo Scarpa, con l’allure parigina del luogo. Ancora una volta infatti la sottile linea rossa che lega le due città è palpabile: pouf di velluto rosa e grigio perla si alternano ai tavoli di forme squadrate color ottone su una moquette verde laguna; grandi specchi a forma di finestre termali, la cui origine risale al periodo di Diocleziano per poi essere rielaborata nel tardo Rinascimento, il bancone composto da tre strati di possente marmo nero, rosso e grigio, le colonnine tortili barocche che racchiudono gli scaffali specchiati addetti a contenere le varietà di Gin e Amari…un tripudio di storia e arte coniugata agli anni ’50, nel ricordo degli esclusivi club della più elegante società dell’epoca. L’affaccio sul giardino segreto, celato nel retro del canale degli Ognissanti, permette un piacevole momento di intimità, per gustare un elisir nella brezza notturna, un caffè nel tepore della mattina, tra statue rinascimentali e piante sempreverdi.
Esco e, nel vedere l’insegna, sorrido, perfetta sintesi delle numerose e raffinate citazioni incontrate all’interno: un’infantile scritta dorata su una piastrella di un moderno marmorino, bianco come la luce, verde come la laguna.