« Ho viste cose che voi umani non potreste immaginare. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire. » “Blade Runner”, gli androidi, il poliziotto Deckard, il 2019, una Los Angeles avvolta da una nebbia densa che sa d’inquinamento eccessivo e le colonie extramondo come ultima via di fuga da un pianeta terra sovraffollato e divenuto ormai invivibile.
Era il 1982 e Ridley Scott immaginava nel suo futuro, il nostro presente, un pianeta blu come una pattumiera galleggiante che gli umani a causa delle sproporzionate emissioni di Co2 non potevano più abitare, una Los Angeles inquinata stressata dalle continue acide piogge in cui si parlava una strana lingua (Cityspeak) ed in cui la razza dominante era prettamente quella asiatica. Una Los Angeles straziata dai fatiscenti grattaceli ed in cui una completa assenza del bello contribuiva a trasmettere allo spettatore un angusto senso di claustrofobia.
Quante volte per tutto il ‘900 i film di fantascienza hanno immaginato l’avvento del terzo millennio come gli anni in cui vestiti con orrende tute argentate avremmo dovuto spostarci nei nostri spazi con velocissime astronavicelle spaziali, zigzagando tra marziani e mostri dall’identità sconosciuta.
Alzi la mano chi da piccolo non ha mai sognato di farsi un giro lassù, nella galassia, e volare a velocità pazzesche maledicendo la rotta di meteoriti improvvisi schivando poi assurdi residui spaziali dei nostri colleghi terrestri. Alzi la mano chi questo sogno è riuscito a realizzarlo, e chi realmente ha avuto la possibilità di volare per rotte spaziali osservando lassù dall’alto il nostro bel pianeta blu. Probabilmente senza voler sminuire l’intelletto di nessuno, nemmeno uno di noi è riuscito a realizzare questo sogno infantile. Oggi come allora siamo ancorati alle nostre tradizioni, alla nostra cucina, ai nostri usi e costumi, alla nostra utilitaria che nelle gelide e fredde mattinate invernali ci lascia, dopo le ultime frenetiche strombazzate, soli nel mezzo di una coda cittadina, a respirare amarognole particelle di anidride carbonica e a maledire eternamente il nostro meccanico di fiducia.
Diciamocelo sinceramente, né io, né i miei figli e forse nemmeno i miei nipoti riusciremo a vivere fisicamente questo viaggio cosmico, a volare come razzi via dalla litosfera a bere chissà quale strano drink in un alternativo bar dello strano Moon-park.
Ed allora a noi umani per avere una visione spaziale della nostra sfera celeste non ci rimangono altro che le tecnologiche foto satellitari che oltre a darci una reale proporzione della grandezza del nostro pianeta mettono ed hanno messo in evidenza quali effettivamente siano i veri problemi degli anni duemila. Il global warming e il conseguente buco dell’ozono, le estenuanti emissioni di anidride carbonica e l’innalzamento sistematico del livello del mare. Una condizione di estremo pericolo evidenziata nei meeting di Kyoto prima e nelle conferenze di Copenhagen poi, che ha messo con le spalle al muro i grandi della terra.
Cambiar rotta o morire. Adeguarsi con l’utilizzo di una nuova creatività ad un futuro che verrà, senza più intossicare con scorie radioattive e materiali inquinanti la nostra madre, oppure continuare per la nostra strada fregandosene, aspettando lentamente l’ora della nostra inesorabile fine.
Si sa, l’uomo messo con le spalle al muro, riesce sempre a superare se stesso, ed è in questa situazione di assoluto pericolo che gli architetti, gli scienziati,i disegnatori, gli ingegneri e chi più ne ha più ne metta, devono essersi trovati per aderire con impegno e dedizione a quel progetto futuristico che è il movimento dell’ecosostenibilità.
Ecosostenibile, in armonia con l’ambiente: Il nostro domani nasce da questo concetto di equilibrio con il nostro pianeta. Il futuro si sviluppa attorno al concetto di ecologia, dal greco “oikos” casa, focolare domestico, dall’attenzione quindi a quel che accade nel nostro privato. Il nostro futuro non saranno viaggi interplanetari e passeggiate romantiche sulla luna, bensì sarà tutto quel che è legato all’importanza del nostro “io” e la cura estetica e non, che questo ne deriva. Allora entrando nel terzo millennio la vera porta che abbiamo aperto è quella che ci proietta nel favoloso mondo della creatività ecosostenibile. E’ un mondo, e dunque ha mille diverse sfaccettature, domande, punti di arrivo.
Dove vivremo quindi, come sarà quella che un tempo veniva definita “casa”?
Leggendo, scuriosando a destra e a manca sono entrato una notte in un meraviglioso sogno che mi portava a vivere in un ambiente dal nome futuristico – domespace – e dalle forme che volutamente mi riportavano alle figure di un seno materno.
Una casa costruita dall’architetto Patrick Marsili precursore della domotica, la scienza interdisciplinare che si occupa dello studio delle tecnologie atte a migliorare la qualità della vita nella casa e più in generale negli ambienti antropotizzati.
Un casa con fondamenta rotanti che le permettano di muoversi su una base pernea che consente di sfruttare al meglio l’energia dei raggi solari.
Una tecnologia che tende verso la creazione di abitazioni denominate “zero house carbon” ovvero residenze tecnologiche formate da materiali bio-edili che consentono una quasi totale assenza di emissioni di Co2.
Quella notte volando, nei miei sogni, nelle mie visioni, come i registi del tempo, mi diressi verso Londra dove già sorgevano “The Clouds” (il progetto in attesa di approvazione del sindaco Boris Jhonson) strane bolle di plastica, erette su di una maglia metallica, alimentate dall’energia dei passi umani che proiettavano sul cielo forse stellato della capitale inglese, le immagini di un Husain Bolton sempre più extraterrestre al di sotto dei 9 secondi.
Ed allora sai cosa ti dico, mio caro amico androide replicante Roy Batty, noi che gli anni 2000 li stiamo vivendo, abbiamo visto cose che voi organismi artificiali non potete neanche immaginare.