Los Angeles, Amsterdam e Milano. Tra queste tre metropoli si snoda il percorso artistico e personale di Rohn Meijer, prima ceramista con Mario Bellini, poi designer con Joe Colombo, infine fotografo di moda con Jan Francis. Meijer, ora sulla soglia della settantina, dopo una prima ma significativa parentesi nell’ambito della scultura e del design industriale, è alla fotografia che deve la sua definitiva consacrazione professionale (in qualità di vero e proprio protagonista degli anni d’oro della moda insieme a Mario Testino, Richard Avedon e Peter Lindbergh, tra gli altri). E sempre nella fotografia, assurto a mezzo espressivo esclusivo, si concretizzano le sue sperimentazioni plastiche più interessanti.
Esempio? La recente serie di scatti “Metamorphosis”, risultato del voluto danneggiamento, o meglio della trasformazione, del suo archivio personale di negativi dapprima formalmente impeccabili. Si tratta di un’estetica della decostruzione e dell’errore come possibile fonte di bellezza, che suona stridente rispetto al mito della perfezione da sempre inseguito da certa fotografia di moda. L’operazione si configura come un insieme di tentativi e manomissioni ludiche col supporto fisico della sua arte, quindi come studio del mezzo più che del fine. Attraverso interventi manuali e chimici sulla pellicola, Meijer ha ottenuto scatti “distrutti” eppure più pittorici, più artistici di prima, la cui eco rimanda un po’ alla pop art un po’ alla pittura impressionista e crepuscolare italiana a cavallo tra Ottocento e Novecento (avete mai visto gli evanescenti ritratti del pittore lombardo Tranquillo Cremona?).
Della serie, errare è umano, ma perseverare può essere divino.