“La cucina ha bisogno di audacia!” Questo è lo slogan di una nota marca di patatine che, da qualche mese, passeggiando per Milano, ti ritrovi attaccato in ogni dove.
Accanto allo slogan campeggia Carlo Cracco, in una posa da ammaliatore incazzato, pronto a rifilarti la famosa patatina sovrastata da improbabili accostamenti: bacon e uova crude, acciughe, pomodorini e cipolla fritta, spuma di baccalà e caprino al sesamo nero.
Surrealismo a parte, chi scrive, ha avuto il piacere di trascorrere una mattina proprio con lo “cheffi” (cit.) stellato chiamato a tenere una lezione d’alta cucina presso la scuola Altopalato in Via Ausonio, Milano.
Arrivati alle 9 del mattino in aula , lo chef e il suo seguito hanno subito iniziato a scartare i preziosi ed eccentrici ingredienti da dover utilizzare in seguito. Tra fiori di sambuco, purea di lamponi e crema di miso appena amalgamata era incastonato un enorme e trionfante cuore di vitella da 4 kili. Come per magia lo slogan inizia ad avere un senso. O forse si tratta solo di coerenza dettata dallo showbusiness creatore del personaggio Cracco alla Gordon Ramsey. I dubbi esistenziali vengono, però, subito spazzati via dal profumo di baccalà che va diffondendosi per la cucina. Certo, l’accostamento di “baccalà-profumo-9 del mattino” non convince del tutto, ma noi, qui, stiamo portando il vessillo dell’audacia e non possiamo lamentarci. Dopo un’accurata descrizione di tutte le parti e i tagli del baccalà scopriamo che là davanti abbiamo le guance del pescione. E fu così che alle 10 del mattino mangiammo baccalà con cipolle, purea di lamponi e fiori di sambuco. Il piatto è sopraffino, ma per colazione avrei preferito un flauto alla crema e un cappuccino tiepido con una spruzzata di cacao.
Sopravvissuti al baccalà e al risotto di miso con triglie crude (fantastici entrambi) si arriva al pezzo forte: il cuore. Dopo circa mezz’ora trascorsa a ripulire e tagliare in blocchi l’organo del bovino inizia la cottura di piccole striscioline di cuore immerse per un secondo in acqua bollente. Servito con una radice nera a me sconosciuta, anice stellato in polvere e sale proveniente da chissà quale continente, il cuore in pochi secondi viene fatto secco dal cuoco e dai commensali/alunni.
Il dolce, invece, passa via rapido: una cheesecake destrutturata con pistacchio e lamponi liofilizzati. Il tutto esattamente all’una e mezza.
La lezione finisce. Scattano le foto e gli autografi di rito. I complimenti “sentiti” degli alunni.
Tornando verso casa soddisfatto di aver assaggiato qualcosa di sorprendentemente buono e di aver scattato delle belle foto inizio, però, a sentire un certo languorino. Sarà solo una sensazione e invece no: era proprio fame. Fu in quel momento che io e mia madre, alunni in una lezione d’alta cucina per un giorno, decidemmo di andarci a fare un paninazzo. Preferibilmente senza baccalà. Audaci.