Mi piace immaginare che le prime chiacchiere che hanno generato Something Good non abbiano avuto luogo ai tavolini del bar di un museo o ad un evento del Fuorisalone, ma piuttosto in uno di quei bàcari, tra Treviso, Venezia e Mestre in cui spritz e cicheti costano poco più di un quotidiano. Forse mi sbaglio, in ogni caso non voglio saperlo, per me Giorgio Biscaro, Matteo Zorzenoni e Zaven (Marco Zavagno ed Enrica Cavarzan), tridente veneto del nuovo design italiano, erano lì quando hanno deciso di creare Something Good.
Something Good è un marchio che produce oggetti e piccoli complementi giunto al suo secondo anno di vita, che nonostante l’età anagrafica mostra una sicurezza ed una maturità rare, tipiche delle realtà che hanno alle spalle anni di gavetta di solito necessari a definire una propria poetica e personalità. Questo è dovuto sicuramente alle capacità di chi sta dietro a questo progetto, alla loro esperienza ed al loro talento. Giorgio Biscaro, Matteo Zorzenoni e Zaven oltre che essere i fondatori di Something Good, sono infatti tra i designer più affermati della scena contemporanea, ognuno con la propria peculiarità, il proprio studio e la propria carriera avviata, promesse della nuova generazione del design italiano oramai diventate conferme, indipendentemente da questa avventura.
E’ forse anche per questo che Something Good si discosta in maniera così evidente dalle altre realtà nate in questi anni con gli stessi presupposti, perché non si tratta del risultato di una frustrazione progettuale dei suoi fondatori. Accade sempre più di frequente infatti che i designer non trovando un interlocutore che dia sostanza alle proprie idee decidano di intraprendere la strada imprenditoriale autoproducendosi, invischiandosi così in una specie di schizofrenia progettuale in cui si cerca di interpretare da soli tutti i personaggi in scena senza essere alla fine davvero padroni della situazione, arrivando ad un risultato solo abbozzato e mai davvero a fuoco.
Ma ciò che rende speciale questa realtà più di tutto è la sua capacità di parlare un linguaggio davvero contemporaneo servendosi di quel tessuto di fornitori e artigiani, detentori di segreti e capacità specifiche, che da sempre sono il piccolo tesoro nascosto del design italiano. La capacità di Giorgio, Matteo, Enrica e Marco di controllare la forma e la loro sensibilità per la bellezza vanno di pari passo alla conoscenza profonda delle tecniche di produzione e alla loro capacità di parlare con gli artigiani. Così alla qualità formale si aggiunge anche quella materica fatta di scelta del colore, del materiale, del processo produttivo migliore e delle finiture, per cui alla fine gli oggetti si completano e sono non solo belli, ma anche giusti.
Alla prima collezione di oggetti interamente disegnata dai fondatori del marchio si è aggiunta una seconda collezione, presentata al Salone del Mobile di quest’anno allo Spazio Rossana Orlandi, con oggetti che portano la firma di alcuni tra i più affermati designer europei: Odo Fioravanti, Tomas Kral e Oscar Diaz. In questo modo Something Good si smarca da subito dal rischio di ripiegarsi in se stesso e cadere nella tentazione di continuare a guardarsi allo specchio, sistemando solo qualche ciocca senza mai cambiarsi d’abito.
Gli oggetti di Something Good hanno quella bellezza e quell’eleganza discrete che non hanno mai bisogno di gridare la propria presenza. Se il mestiere del designer, tra le altre cose, è quello di dare forma ai pensieri ed alle idee, quelli di Something Good sono sicuramente pensieri felici.