Sono uno dei gruppi italiani più ascoltati d’estate o quando la voglia di mare ci assale. Sarà perché vengono da Genova, o perché la loro cover di “Rhythm of the Night” ha avuto un grandissimo successo, ma gli Ex-Otago hanno molto più da dirci musicalmente e filosoficamente. Col nuovo disco (il quinto) in arrivo a fine estate – “Marassi“, come il quartiere da cui provengono – balleremo di più che in passato, senza però dimenticare che le bollette le dobbiamo pagare tutti.
Li abbiamo intervistati a proposito del nuovo singolo pubblicato da poco, del disco in arrivo e del calcio. Ecco quello che ci hanno raccontato Maurizio (Carucci), Simone (Bertuccini), Olmo (Martellacci) e Francesco (Bacci).
Partiamo da una notizia calda: il Leicester ha vinto il campionato. Contro ogni pronostico, proprio come gli Otago, la squadra neozelandese di rugby da cui proviene il vostro nome. Che cosa ci insegna questa storia? Dateci un’interpretazione non banale, una tipicamente vostra.
Ci insegna a prevedere l’inaspettato nelle nostre giornate. A credere che le cose possono accadere anche se a volte è difficile crederci… A nostro parere le uniche squadre di calcio per le quali può avere senso tifare, sono quelle rimaste ai margini, nelle serie minori, con giocatori che la domenica giocano, il lunedì lavorano.
Tornando alla domanda, pensando ad ad esempio ad Olmo, il nostro musico tuttofare: pensavamo fosse impossibile che trovasse una compagna, invece c’è riuscito, ci ha creduto e ce l’ha fatta, nonostante si trovasse in una posizione di importante svantaggio…
Continuiamo nel calcio, una costante invisibile della vostra di storia: Marassi, da lì siete partiti, da lì create, e lì state arrivando col nuovo disco. Ci raccontate il vostro rapporto con questo quartiere particolare, cosa vi ha dato e perché lo celebrate nel quinto disco?
Sicuramente ci ha dato tanto o meglio poco, ma crescere con poco ti insegna a valorizzare il poco, ad essere comunque felici con il poco e inesorabilmente a diventare tanto tu come persona. Marassi è un quartiere estremamente anonimo, come la maggior parte dei quartieri delle grandi città. A caratterizzare sono le persone che li animano, con le loro storie. Il rapporto è controverso, affetto e odio, tristezza e romanticismo, insieme. C’è da dire che Marassi ci ha cresciuto e ha dovuto per forza di cose salutare alcuni di noi che adesso, come me, abitano altrove ma che per forza di cose sempre a Marassi ritornano…
Genoa o Samp?
Genoa ma anche (poco) Samp…
Ad ascoltare l’ultimo singolo – Cinghiali incazzati – notiamo due cose: la prima è il titolo della canzone. L’incazzatura, così a memoria, fa parte di un campo semantico che raramente è stato applicato nei vostri testi. Se è così, perché? Sono cambiate le vostre esigenze di racconto? Siete cresciuti e vi siete disillusi? Insomma, dove sono I Figli degli Hamburger?
Ma diciamo che sicuramente siamo cresciuti o perlomeno cambiati. Gli otaghi hanno il cambiamento nel loro DNA. Il cambiamento è l’azione primaria di ogni cammino. Chi non cambia è immobile. I figli degli hamburger ci sono sempre, forse loro stessi sono diventati cinghiali incazzati: magari allo sportello di Equitalia o in coda la mattina presto in tangenziale. In realtà è una parte che appartiene a tutti noi; siamo qualcosa di molto complicato e ricco di sfumature. Ogni tanto è liberatorio ammettere di essere incazzati e basta. Cinghiali incazzati racconta tutti i profili che alloggiano in un individuo solo, profili nobili, altri meno, contraddittori e spettacolari, assurdi e dolci.
L’altra cosa è il sound: ci sembra vi siate distaccati un po’ dal vostro classico e riconoscibile sound indie/folk/scanzonato, con qualche reminiscenza anni ’80, quello che vi ha reso famosi insomma. Ci sembra che vi siate direzionati più sul pop, sulla scorta di produzioni interessanti (più sintetiche) come l’ultimo disco di Carboni. C’abbiamo preso?
In realtà per noi ogni disco rappresenta una storia a se. “In capo al mondo” a sua volta è stato è stato un disco molto differente dai precedenti: caldo, di cambiamento e maturazione. Un disco più immaginifico e introspettivo. Marassi è tutta un’altra cosa. Marassi è l’anti-viaggio per eccellenza, Marassi è lì, non si muove con i suoi ritmi le sue manie. Avevamo davvero il bisogno di raccontare qualcosa di estremamente vicino e comune. Forse per convincerci che è importante e bellissimo farlo, per raccontare a noi stessi che tutto sommato accadono molte cose interessanti tra e dentro la gente che abita questi luoghi, di cui non parla nessuno, privi di un fascino riconosciuto, delegati ad ospitare lavoratori stanchi, detenuti e tifosi di calcio. Marassi è molto di più. È tutto. È niente.
Che tipo di disco possiamo aspettarci quindi? Potete anticiparci qualcosa?
Sarà un disco da ballare; ma non sarà tutto un “Cinghiali Incazzati”; ci saranno anche brani lenti e romantici. Sarà un disco ricco, vario, urlato e sussurrato. Parlerà delle persone, delle debolezze che ci caratterizzano e dalle tante assurdità che manifestiamo tutti i giorni molto spesso senza rendercene conto. Un album contemporaneo, dell’oggi prodotto dal grande maestro Matteo Cantaluppi.
Siete uno dei gruppi più prolifici su MusicRaiser, la piattaforma di crowdfunding musicale (130% del totale richiesto per la produzione del nuovo disco). Cosa è cambiato nel modo di fare musica dall’avvento di questi strumenti? C’è più libertà espressiva?
Non crediamo che sia una questione di libertà espressiva, quanto più un cambiamento dei mezzi. Crediamo che stiano radicalmente cambiando i mezzi con cui la musica si produce e promuove. Il finanziamento da parte del pubblico è per noi il modo migliore per avere, da subito, un legame intimo e di fiducia con il nostro pubblico. Si tratta di un mezzo del tutto orizzontale, tra pari e questa è davvero una rivoluzione rispetto al modello tradizionale che prevede finanziamenti verticali. In questo modo devi rendere conto solo a persona che in sostanza, a scatola chiusa, ti hanno già detto “fai come ti pare, mi fido di te, il tuo disco mi piacerà”.
Il vostro lavoro è frutto di una co-produzione fra due etichette abbastanza note nel panorama indipendente italiano, Garrincha e INRI. Com’è nato questo incontro e in che modo vi sta infuenzando?
A differenza del passato, in cui abbiamo gestito unicamente in casa il progetto, in questa fase avevamo davvero bisogno di affidarci a qualcuno che gestisse la parte manageriale e promozionale. Con INRI e Garrincha ci siamo sentiti subito a casa, loro hanno immediatamente trovato interesse nel progetto e dobbiamo dire che insieme stiamo lavorando alla grande, in più si è aggiunta anche La Tempesta concerti che si occuperà della parte relativa al tour e anche in questo caso c’è stato un bellissimo incontro con Gabriele Fiorentino che ogni giorno di più dimostra di avere stima entusiasmo e voglia di fare cose per gli otaghi. Un grande. Per chiudere, questo è per noi un ottimo momento e ce lo godiamo tutto, consapevoli che il bello deve ancora venire.