È per questo che adoro scrivere. Non per interpretarmi nello specchio delle parole – non mi chiamo Giovanni Pascoli – nemmeno perché “Il bello è che scrivere è un altro modo di cagare e masturbarsi” (ok, giuro che questa è la mia ultima citazione in un articolo, ma vi sfido a scoprire chi l’ha scritta). No, la realtà è che scrivo per parlare con gente interessante. È una questione sociale, come l’alcool o i concerti di Fennesz (nel senso che ogni tanto sono talmente noiosi che ti trovi a bere al bar chiacchierando dei rutti di Mike Patton).
Ecco che questo è un altro dei casi: ero a cavalcare le onde del browser, quando mi capita sotto mano un articolo di presentazione di Superleggero, clicco sul link e finisco sulla pagina About tutta scritta in prima persona dal proprietario/ideatore del marchio Antonello Tabarelli de Fatis. Spettacolo, voglio parlare con Antonello, così eccoci a fare una chiacchierata su Skype, dove, in un paio di ore, finisco tre taccuini di appunti.
Prima della parafrasi, però, due parole su Superleggero, marchio produttore di accessori per e di ispirazione ciclistica, nati quasi per necessità. Antonello è nato ad agosto ed è un profondo nemico del fred…
No Stefano, basta. Questa storia è vecchia. Se volevo un’intervista riletta, mettevo un link!
Vero Antonello, scusa. A sto punto il link ce lo metto io e comincio con la prima domanda.
Vai.
Ecco, una cosa che ancora non ho letto su Superleggero è: ma come mai snood, berretti, sciarpe e ancora nessuna maglia, bib o calze da ciclismo?
Mah, a dire la verità la cosa ancora non mi interessa. Nel mio passato ho disegnato specifico abbigliamento intimo per il ciclismo, anzi, ho prodotto quella che è stato definita la calza più leggera dal mondo, addirittura molto apprezzata da un famoso professionista. Ma si trattava davvero solo di uno sfizio. Superleggero, invece, nasce proprio per colmare una lacuna in un ambito specifico.
Chiaro. Parlami quindi dei materiali che usi.
Si tratta di tessuti di qualità altissima: seta, cachemire, lana merino, cotone, di produzione o lavorazione nazionale. Per esempio la lana merino e il cachemire vengono da uno storico produttore della Valsesia, mentre per un colpo di fortuna, quest’inverno, sono riuscito a comprare una intera fornitura di cotone italiano da una vecchia manifattura.
Ma non sarai mica contrario ai materiali sintetici vero?
No. Assolutamente. Ringrazio ogni giorno il Signor Toni Maier, che a fine ’70 creò i primi pantaloncini in Lycra. E poi ho una passione segreta per il Polipropilene. La base del discorso non sta nella naturalità o meno del prodotto, ma nella sua qualità.
E dell’esplosione della lana merino cosa mi dici?
È una questione di moda. Siccome la lana merino rievoca immaginari vintage, “fa figo” indossare un capo di tale filato. Ma sarei un pazzo a indossare canotta, pantaloncino o maglia in lana merino durante una gara. Lì servono massime prestazioni e in questo la merino ha dei limiti.
E se ti chiedessi del design dei tuoi prodotti?
Sono tutti disegnati da me. Ma ho un segreto. Lo vuoi sapere?
Visto che ci siamo.
Per la stampa dei miei prodotti scelgo solo la serigrafica. È una tecnica che nobilita i tessuti ed è anche più economica ed ecologica rispetto alla stampa digitale. In Italia, però, è anche meno diffusa, un vero peccato visto che in origine ci si riferiva ad essa col nome di “stampa alla comasca”
Ora siamo sul prodotto: come promuovi i tuoi capi?
Da solo. Nessun budget pubblicitario, solo la mia produzione di contenuti. Ho un blog, un account Instagram e uno Facebook. Al resto ci pensa la community.
E dove vedi i maggiori risultati?
In Nord Europa. Danimarca, Olanda, Belgio, Svizzera, Francia. Ma non è solo una questione di clima: lì sanno riconoscere la qualità di materiali e design. Poi ho richieste dal Giappone e a Boulder Colorado puoi vedere prodotti superleggero indossati dai vigili urbani.
E l’Italia?
In Italia i consumatori sono un po’ distratti. Più che alla qualità, lì sono attenti alla griffe. Pensa a cosa vedi quando sei in giro in bici in Italia: divise camouflage o colori fluo. No, purtroppo in Italia non siamo troppo attenti alla qualità, anche della vita. Nel 2020 in Norvegia interromperanno la circolazione delle automobili, mentre a Milano si urla contro il sindaco a causa delle multe nell’Area C. Che ne dici?
Già. Torniamo allo stile. Chi consideri un’icona nel ciclismo moderno? Chi vorresti vedere con i tuoi snood al collo?
Mi viene in mente solo gente del passato: Coppi ovviamente, ma anche Bottecchia con la sua meravigliosa maglia viola fonte di ispirazione. E poi Jan Raas, Franco Ballerini, Laurent Fignon, Roger De Vlaeminck, Paolo Savoldelli. Senza dimenticare tre atleti bistrattati per questioni di doping, ma comunque esempi di grinta e meticolosità: Frank Vandenbroucke, Richard Virenque e Lance Armstrong.
La bici per te è davvero una Bibbia mi pare di capire, quando è cominciato tutto?
Già da piccolo vedevo mio padre andare al lavoro con la sua Benotto e sapevo che l’avrei fatto anch’io. Ora per me la bici è un vero strumento di lavoro, non ho mai rinunciato alla mia pedalata in pausa pranzo, anche quando lavoravo in azienda: le idee migliori nascono sulla bici.
La tua prima bici?
Un chopper della Schwinn, di quelle con le marce sull’orizzontale. Poi arrivò la bici da strada: un’Atala e poi una Bianchi.
E quanti chilometri fai in un anno?
Ti dico solo il mio highlight: 20.000 Km in una stagione dal clima irripetibile.
Dai, dammi il tuo Strava.
No, nono. Non vorrei che mi rubassi tutti i KOM.
Va bene. Che bici pedali?
Ho Cinelli Mash per correre in pista, un Ritchey da cyclocross, una Time VXRS e una Canyon Ultimate.
Gruppo e ruote?
Campagnolo. Solo Campagnolo. Per gruppo e cerchi. Mai un problema. E di solito pedalo un 53/39 standard con cassetta 12/25, anche se a volte monto un 29.
So che hai vissuto in Svizzera e ora sei in Italia. I giri montani che preferisci?
Le Dolomiti non hanno pari, nel mondo. Appena posso scappo a fare il giro dei 4 passi. Quando sono in Svizzera, invece, adoro il giro Wassen-Susten-Grimsel-Nufenen-Gotthard-Wassen oppure St.Moritz-Ofenpass-Umbrailpass-Bormio-Forcola di Livigno-Bernina-St.Moritz. Singolarmente apprezzo molto il Passo Rombo e la Grosse Scheidegg.
So che capiti a Nizza, ciclicamente. Io ho parlato con Remi Clermont di Café du Cyclist, che nella nostra intervista mi ha fatto innamorare del Col de Turini. Tu che ne pensi?
A dirti la verità io preferisco fare il giro Nizza-Col de Vence-Col de l‘Ecre-Col de Gourdon-Grasse-Biot-Nizza, in primavera non ha pari per colori e profumi.
Il Col de Turini è bello sì, ma non perfetto dal punto di vista logistico e paesaggistico: caldo e con poche fontane.
Non posso fare a meno di muovermi verso qualche domanda di design, una volta che ho un designer così importante a portata di penna. Che marchi di abbigliamento preferisci sulla tua bici?
Assos. Sono gli unici a fare dello sviluppo su pantaloni dalle prestazioni uniche. Certo, il design non è proprio il loro forte.
Se trovassi chiuso il negozio Assos, andrei in quello Giro. Ma a parte questi due niente, tutte le altre aziende investono la maggior parte del budget in design effimero e poi affidano ai produttori la scelta di tagli e materiali. No, così il prodotti lo ammazzi.
E sull’abbigliamento urbano, cosa sai dirmi?
Niente. Non mi interessa. Trovo la moda dell’urban cycling solo volatile e finta. In città indosso i miei Incontex che non saranno trendy ma sono i migliori pantaloni al mondo.
E le bici dal design più interessante?
Canyon. Senza dubbio. Solo lì i designer lavorano fianco a fianco coi product manager. Sono i migliori al mondo. Poi molto dietro c’è BMC, Time e Cannondale.
E quelle più brutte?
Non saprei scegliere. Negli ultimi anni si fa a gara a chi disegna i modelli più orribili. E poi, tornando a casa nostra, ci sono i marchi italiani che offrono uno spettacolo desolante.
Cosa ne pensi della rincorsa al vintage come unica leva del marketing?
Bisogna distinguere fra retrò e nostalgico. Mi chiedi di correre con un pantaloncino di lana magari con fondello di pelle di daino? E davvero pensi sia cool? Ti rispondi da solo. No, lavorare col passato vuol dire studiare, ispirarsi, per poi disegnare qualcosa di davvero moderno. Io diffido sempre dai telaisti che vendono l’acciaio a prezzi stellari e te lo consegnano dopo un anno, così come quelli che pensano di innovare senza il minimo background. Già, tutto questo si nota, perché, come dice F.L. Wright: “A doctor can bury his mistakes but an architect can only advise his client to plant vines”.
Ma come, una citazione?
Questa ci stava tutta!