L’isola della Giudecca, periferico rione di Venezia, è felice di trovare un collegamento – seppur fugace – con il cuore della città, nei giorni di festeggiamento del Redentore. Il ‘ponte di barche’, temporanea costruzione di legno ed acciaio, composta da sedici moduli galleggianti, crea un effimero legame tra due parti di Venezia nettamente separate, per storia, abitudini e abitanti, ma che si guardano in faccia costantemente. La riva delle Zattere nei giorni estivi è così affollata dai turisti che, sotto il sole, seduti in terrazza da Nico con il gianduiotto in una mano, ammirano la vista di quella zona dall’altro lato del canale mentre – pluff – la panna scivola sulla T-shirt. Alle loro spalle, la Chiesa dei Gesuati, mole di grandiosità, innalzata su progetto di Giorgio Massari tra il 1726 e il 1743, con toni di possanza rinascimentale all’esterno quanto di neoclassica linearità all’interno, dove veniamo accolti dalla leggerezza dei colori rococò con cui Giambattista Tiepolo concepì i soffitti, dalla maestosità dello sguardo della sua Madonna, dall’elevazione mistica della visione escogitata dal Piazzetta, dagli angeli e santi marmorei scolpiti dal Morlaiter che ci guardano e proteggono dall’alto. Questa Chiesa è stata costruita, per volere dell’ordine domenicano, proprio ad emulazione della Basilica del Santissimo Redentore, destinata ai padri cappuccini, i cui lavori iniziarono per ordine della Serenissima. Un’emulazione postuma che rende ancora più difficile e rara la decisione del comune turista di addentrarsi nella riva opposta, quartiere di residenza popolare, certamente bello nella sua rudezza, ma i cui motivi di attrazione sono pochi, escludendo la quiete e l’autenticità che vi regnano sovrane. Eppure è qui che necessita una visita la Casa dei Tre Oci, stupendo palazzo sulla riva che unisce la struttura preindustriale di mattoni a vista con inconsuete forme neogotiche, come le finestre dai profili ondulati, di carattere volutamente simbolico, che sembravo scrutarci da lontano. La dimora fu sede di studio e laboratorio artistico per l’élite culturale del Novecento, e ora accoglie una delle sedi della Fondazione di Venezia con mostre di fotografia uniche nel panorama veneziano, e raffinatissime per scelta di soggetti. In questi mesi estivi espone una retrospettiva su Letizia Battaglia, con i suoi scatti di crudo realismo femminista e lotta politica. Dietro l’angolo inoltre si trova l’Altanella, storica trattoria gestita dalla stessa famiglia dal 1889, che vale la visita per l’elevata qualità dei prodotti, i piatti che profumano di laguna, l’ambiente caldo, pregno di tradizione nei dettagli di gusto marinaro come il legno delle pareti, i coloratissimi quadri di pittori veneziani degli anni cinquanta. Raggiungerla in barca, ormeggiando affianco alla bellissima altana sul canale, un vero e proprio giardino esposto alla brezza lagunare ma nascosto dalle rotte consuete, coperto dall’ombreggiare di piante di vite che si arrampicano sulle travi, in cui si dilettò Gabriele D’annunzio, Hemingway e Renato Guttuso, è un’esperienza da non farsi mancare. E ancora… la passeggiata tra calli vuote, silenziose, dove ancora i panni sono appesi, gli anziani con la seggiola assaporano l’aria del giorno e le ciaccole dei vicini, i gatti furtivi scappano veloci. Come precludersi tale visita?
Ma c’è un momento dell’anno in cui la Giudecca può vivere l’emozione di essere centro degli sguardi di tutti, illuminata dai fuochi del Redentore. È il sabato precedente la terza domenica del mese di luglio, in cui ricorre la festa per la Grazia ricevuta alla fine della peste che flagellò Venezia nel 1575-77: da cinque secoli la lunga processione di fedeli attraverso il ponte votivo giunge alla Basilica del Redentore, che fu un ex-voto commissionato al più grande tra gli architetti viventi del tempo, Andrea Palladio, per magnificare la città e ringraziare il signore, dove il patriarca esegue il rito.. e da dove si dà il via alla festa.
La tradizione popolare fortemente radicata nell’animo dei veneziani ha fatto si che questa si tramandasse nei secoli, e divenisse la più emozionante e viva tra le feste cittadine: la città intera vi si adegua, le persone si ritagliano – nel senso letterale del termine, attaccando adesivi di delimitazione sul suolo della riva – il loro spazio a partire dal primo pomeriggio portandosi specialità pret-à-manger, allestendo tavolate per gruppi di amici: creando un momento conviviale unico, che fa risplendere di vita e gioia la Giudecca. I ristoranti pullulano di prenotazioni, e fanno a gara per offrire la vista migliore. Le altane della città intera accolgono le famiglie e gli amici di amici, senza preoccuparsi della capienza massima: l’importante è essere in prima linea e con il naso rivolto all’insù nel momento giusto. Le terrazze si riempiono di candele, musica, lussuose cene per accogliere il momento e attendere la mezza notte, in cui i fuochi artificiali più spettacolari dell’estate illumineranno tutta la laguna, e faranno restare – ogni anno inspiegabilmente sempre di più – abitanti e ignari visitatori con il fiato sospeso e gli occhi luccicanti. Chi non riesce ad organizzarsi, finisce ai Giardini di Sant’Elena, l’isola dall’altra parte del bacino, da dove si può comunque godere di un momento unico al mondo, distesi sull’erba nell’abbraccio della brezza notturna, perché di fronte si delinea la vivace distesa di imbarcazioni, dagli enormi yacht dei turisti, alle piattaforme e tope da lavoro affittate per l’occasione, ai barchini degli abitanti, che si affollano nel bacino di San Marco, ognuno con la propria musica, spumante e tramezzini.
Quest’anno io ho avuto l’occasione di partecipare a questo momento con Swatch, che ha deciso di rinforzare iil suo legame con Venezia e con la Biennale, di cui è main sponsor. Infatti, la presenza della celebre casa orologiera svizzera non si è limitata ai giorni dei vernissage, con l’apertura del padiglione Joe Tilson ai Giardini e il lancio dell’orologio firmato dal maestro in soli 2019 esemplari, ma è stata capillare in tutti i mesi della mostra, la 58°Esposizione Internazionale d’Arte Contemporanea.
Con il mio polso colorato dall’orologio dal quadrante argentato e cinturino azzurro e variazioni di arancio e viola, il leone di San Marco bianco sul cinturino – il must dell’accessorio estivo su tema biennale May You Live in Interesting Times – ho camminato e lavorato per tutta l’estate, accorgendomi di quanto esso sia stato non solo un segno di riconoscimento efficace ma abbia sortito l’effetto desiderato dal brand: una riconoscibilità istantanea, un mood vivace e grintoso, legando gli appassionati d’arte con il senso identitario che solo un pattern così unico e diretto può conferire. Infatti con questo spirito ho partecipato con Swatch alla serata di gala nella prestigiosa sede ufficiale di Cà Giustinian, la cui terrazza panoramica offriva il punto in assoluto migliore e privilegiato della città per godere dello spettacolo.
Così, il 20 luglio, giunge la sera, mi preparo, gusto un veloce aperitivo in corte, mi avvio in calle larga San Marco, prendo la laterale verso il canale, giusto tra l’evento collaterale di Philippe Parreno all’interno dell’Espace Louis Vitton e la mostra sui lavori di Elisabeth Von Samsonow e Juergen Teller allo Spazio Ridotto. Salgo al quinto piano dove sorge la terrazza, la cui rara accessibilità e vista sublime la rendono perfetta cornice per creare un evento esclusivo. Flut rosso biennale, luminarie di carta appese sul cornicione, alcuni con il profilo del leone di San Marco, protettore della Serenissima, altri con motivi stilizzati di palazzi veneziani.. e il mondo degli spettatori sotto di noi.
I tavoli imbanditi da ceste di vimini decorate da foglie di vite e da un proliferarsi di lampade Tetatet, ormai celebre creazione su base magnetica del designer Davide Groppi, che riproduce la luce soffusa di una candela con l’innovazione di un’estetica moderna e raffinatissima, oltre che la durata a batteria. I tempi della cena scanditi dai discorsi con gli invitati, artisti, architetti, imprenditori nel vasto e variegato mondo dell’arte, e dalle luci del cielo che, variando e svanendo, lasciano spazio all’immaginazione. Ed ecco il momento, si sente un primo botto, e via. Ci alziamo in piedi per digerirci verso l’affaccio sul bacino più bello del mondo: il nero dell’acqua su cui si muovono le centinaia di imbarcazioni, come lucciole, inizia a riflettere i brillii dei fuochi d’artificio che, uno dopo l’altro, aumentano d’intensità, cambiano colore, creano un’inesprimibile gioia. Il naso all’insù e l’impossibilità di staccare lo sguardo rende tutti felici in un momento di condivisione unico al mondo, di unione, di felicità, non più – ormai – per la fine della pestilenza, ma per la bellezza che ti circonda, per l’emozione che fa palpitare la città di una luce propria e di una che viene dal cielo.
Cos’è Venezia se non uno dei luoghi più meravigliosi del mondo in cui vivere per sempre, viaggiare per una notte, vedere per un giorno, emozionarsi ogni volta. Cos’è Venezia senza la Biennale, nel periodo più bello dell’anno, quello della magia, dell’amore, del caldo, del sole sulla pelle, della voglia incondizionata di camminare e scoprire ogni angolo, dal Ghetto ai Giardini, dalla Giudecca a Santa Marta, poiché contraddistinti ognuno da quei momenti di estemporanea contemporaneità che sul suolo cittadino hanno modo di esprimersi in libertà. Cos’è la Biennale senza Swatch che porta il suo messaggio nel mondo, vestendo ogni amante dell’arte, appassionati, artisti e viaggiatori di un pezzo unico, che crea distinzione ma anche riconoscibilità, e che investe sull’arte da anni per affermare con sempre maggior forza che “Swatch loves Art”. L’intento è di avvicinare le persone con un gesto semplice e chiaro alla comprensione del vario e meraviglioso mondo artistico, in tutte le sue sfumature, scandendo il tempo e creandone lo spazio. Così, il brand, attivo e partecipe all’evento dell’estate per lo spettacolo pirotecnico tra i più belli del mondo, è riuscito a diffondere anche in quest’occasione il suo messaggio. Nel suo background – e nei miei occhi – rimarrà per sempre la Punta della dogana, antico bastione della città, illuminata di rosso fuoco, verde, viola e ancora turchese, prendendo le sembianze di un dipinto di Francesco Guardi, ricreando la magia e lo splendore del Settecento veneziano.